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Gli anni sessanta negli Stati Uniti di Giuseppe Lojacono
Crisi sociale e rivolta razziale negli U.S.A. Il tentativo di demolizione della cultura tradizionale e delle istituzioni uscite dalla seconda guerra mondiale. / Translate this Page!

 

La nascita del movimento studentesco

Gli anni cinquanta negli Stati Uniti furono caratterizzati da profondi mutamenti sociali e politici che avrebbero avuto grandi conseguenze solo nel decennio successivo. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, col rientro in patria di milioni di soldati americani, si era verificato un vero e proprio baby boom che avrebbe aumentato il numero di iscrizioni alle scuole superiori e alle università nei primi anni sessanta. Inoltre, il dilagante sentimento anticomunista, fomentato dal movimento maccartista, contribuì a creare un oscurantismo ideologico che non permetteva alcun confronto tra le nuove e le vecchie generazioni.

Permaneva, tuttavia, un ampio benessere economico derivante da un'economia mondiale in grande crescita di cui gli Stati Uniti beneficiavano più di tutte le altre nazioni. Tale ricchezza, se da un lato permetteva ai figli della media borghesia di accedere con maggiore facilità alla costosa istruzione secondaria (gli studenti universitari tra i 18 e i 22 anni passeranno dal 15% del 1940 al 44% del 1965), dall'altro evidenzieranno le profonde disparità sociali tra i ceti privilegiati e il proletariato, soprattutto nero.

Gli studi che si sono occupati della nascita del movimento studentesco americano, hanno spesso faticato a individuare le cause del suo fiorire proprio agli inizi degli anni sessanta. Le condizioni non erano differenti dagli anni che li avevano preceduti e non si sarebbe discostati granché da quelli che li avrebbero seguiti. Allora per quale ragione in quel decennio ci fu la più alta concentrazione di proteste giovanili che la storia americana ricordi? Si può affermare che una concomitanza di elementi che presi distintamente parrebbero innocui, resero turbolenti i campus delle università americane. Innanzi tutto, l'insegnamento impartito sia dai genitori sia dalle strutture universitarie. I primi, educati all'austerità e al tradizionalismo degli anni trenta e quaranta, per reazione si lasciarono andare a un permissivismo eccessivo, anche influenzato dalle teorie pedagogiche del dottor Spock che divenne il modello di migliaia di mamme statunitensi. Le seconde, nel tentativo di sopperire alle carenze educative parentali, si preoccuparono più della moralità dei propri iscritti che della loro preparazione culturale. In quest'ambiente di lassismo familiare e di repressione istituzionale, i giovani americani non riconobbero se stessi, né culturalmente né socialmente.

Nelle grandi università americane, prime fra tutte Berkeley e Harvard, gli studenti cominciarono quell'attività di smantellamento delle tradizioni che il sociologo Daniel Bell definì "la rivoluzione del sapere". Davanti a una politica e a una società che si richiamavano unicamente al realismo e al pragmatismo, i giovani cominciarono a ricercare nuovi ideali di esistenzialismo derivati dalla lettura di filosofi e romanzieri francesi, principalmente Camus e in modo minore Sartre. La presa di coscienza della mancanza di una meta precisa allo sviluppo sociale americano sconvolse le certezze che ostinatamente i genitori avevano inculcato nei propri figli. Il "sogno americano" aveva creato una società dedita alla ricchezza e allo sfruttamento del prossimo, almeno per quel che pensavano le giovani leve. Daniel Bell ci ha dato un'altra definizione che ben si adatta a questo periodo e cioè che negli anni sessanta si giunse a una "fine delle ideologie", nel senso che il patriottismo, l'americanismo, la democrazia ultraconservatrice che avevano caratterizzato i due decenni precedenti furono aborrite dai giovani che fecero tabula rasa del proprio patrimonio culturale e ne cercarono uno nuovo, non preconfezionato.

L'influenza comunista

Furono veramente anni senza ideologie? Gli studenti non si richiamarono a nessun ideale politico o sociale precedente? Non sarebbe corretto rispondere affermativamente a entrambe le domande. Il movimento studentesco americano, sebbene sostanzialmente apolitico nei suoi sviluppi, fu alle origini profondamente influenzato dal pensiero socialista e comunista, ma con grandi differenze rispetto a ciò che sarebbe accaduto successivamente in Europa, ad esempio nelle incubatrici del marxismo giovanile delle università di Oxford e Francoforte. Nel Vecchio continente ci si rifaceva all'ortodossia comunista, al marxismo appunto, o al più a un maoismo di nuova creazione. Negli Stati Uniti, dopo il maccartismo, un appello così aperto al marxismo non era più possibile. La repressione politica e culturale era stata troppo forte per consentire un'inversione di tendenza che riportasse in auge il pensiero comunista puro, di rivolta di classe e di governo del popolo, inteso come proletariato. Gli adolescenti americani che avrebbero protestato nelle piazze e nelle università venivano da famiglie senza problemi economici e non conoscevano la dura vita del ghetto o delle campagne. In aggiunta a ciò, la classe tradizionalmente vicina alle idee comuniste, cioè gli operai, negli Stati Uniti era non soltanto poco propensa a cambiamenti, ma addirittura sosteneva apertamente il governo. I sindacati, dopo le dure battaglie degli anni trenta, si erano ammansiti e integrati nel sistema produttivo americano che nell'immaginario collettivo regalava ricchezza a tutti.

Perciò, a quale tipo di socialismo si richiamarono gli studenti per fondare quella che sarebbe divenuta la Nuova Sinistra Americana? Essenzialmente a un comunismo più romantico e scevro da connotazioni strettamente politiche. Un comunismo naïf di eguaglianza sociale a tutti i costi, di giustizia e di eliminazione delle disparità razziali. A dare grande spinta a questa visione non tradizionale fu soprattutto la rivolta castrista. La generazione degli anni sessanta che stava velocemente conformandosi ai modelli rappresentati da Ginsburg nel suo Howl e da Jack Kerouac con On the road, letteralmente si innamorò della rivoluzione cubana. Tra il 1958 e il 1961, anno in cui il Dipartimento di Stato americano proibirà i viaggi a Cuba oltre che in Cina e Albania, migliaia di studenti si recarono nell'isola caraibica per prendere contatto con "l'impero del male" come Ronald Reagan avrebbe etichettato in seguito il mondo comunista.

L'entusiasmo e l'ardore delle truppe castriste dovette essere contagioso, perché tra il 1960 e il 1963 furono create un discreto numero di associazioni americane che si richiamavano agli insegnamenti comunisti e socialisti. Tra esse è doveroso citare il Progressive Labour Party (Plp), la Student Peace Union (Spu), la Young People Socialist League e il W.E.B. Du Bois che prendeva il nome da uno studioso afroamericano curiosamente divenuto comunista all'età di novant'anni. Tutti questi gruppi, pur essendo molto attivi, rimasero sempre di scarso peso numerico. Le ragione furono essenzialmente due: lo stretto controllo del FBI a cui erano sottoposti tutti i soggetti che si professavano comunisti e la volubilità degli interessi dei giovani. Analizzando più a fondo quest'ultimo punto, si può notare come l'appartenenza a un gruppo organizzato non durasse spesso che pochi mesi e solo per determinate cause. Più spesso i giovani si riunivano unicamente per proteste localizzate, senza nessun altro tipo di finalità.

Ciò è particolarmente vero se si analizzano gli interessi degli Students for Democratic Society (Studenti per una società democratica, Sds) la più grande organizzazione studentesca creata negli Stati Uniti. Nata nel 1960, fu completamente rifondata nel 1962, seguendo i principi dettati nella "Dichiarazione di Port Huron", un manifesto ideologico quasi interamente scritto da Tom Hayden. Nello scritto si rivendicava il diritto dei giovani americani di modificare l'ineguaglianza sociale e politica esistente negli U.S.A, attraverso un'azione diretta. Quest'azione si manifestò dapprima con la collaborazione con il Movimento per i Diritti Civili negli Stati del Sud. Gli studenti universitari bianchi dedicavano le loro estati libere alla lotta per l'abolizione della segregazione e per l'eguaglianza sociale, in collaborazione con le associazioni nere per tutto il periodo 1961-1964. Però, il crescente numero di incidenti e repressioni di manifestazioni non autorizzate, minò alla base la collaborazione interrazziale. I movimenti neri, particolarmente insoddisfatti dell'aiuto fornito dai giovani bianchi, cominciarono a confluire nei nazionalisti del "Black Power" di cui parleremo in seguito. L'attenzione degli Sds si spostò così su quelle stesse istituzioni che li ospitavano per buona parte dell'anno: le università. Come già spiegato, le istituzioni di studio erano viste come classiste e negatrici del diritto fondamentale a una libera educazione. Per mutare lo status quo si formò un movimento spontaneo denominato "movimento per la libertà di parola" in cui ebbe grande ruolo la stessa organizzazione Sds.

I primi scontri veri e propri avvennero nell'università di Berkeley nel 1964. La causa scatenante fu abbastanza futile. Il rettore dell'università proibì la distribuzione di materiale politico fuori dei cancelli del campus. Teoricamente la ragione era dalla parte degli studenti, perché la zona di distribuzione non era sotto l'autorità dell'università, ma nella pratica l'intervento della polizia impediva qualsiasi attività in prossimità delle strutture universitarie. Fu così decisa l'occupazione del campus che coinvolse diverse migliaia di studenti. Gli incidenti che seguirono lo sgombero forzato dell'università, portarono all'attenzione di tutta la nazione il nuovo movimento studentesco. Alcuni dei leader del movimenti furono arrestati e tra essi anche Mario Savio che fu accusato di aver picchiato selvaggiamente un poliziotto. La repressione forzata non fece altro che aumentare il desiderio di libertà dei giovani. Altre manifestazioni meglio organizzate si svolsero nella primavera del 1965 dando maggiore forza al Free Speech Movement. Nonostante l'aumento degli iscritti al Sds che diventò la prima organizzazione a livello nazionale con sedi in tutti gli stati dell'Unione, mancava un vero progetto e una dirigenza che dettasse le direttive da seguire. Fu così che l'interesse per ogni nuova lotta scemava velocemente col passare della furia del momento: i diritti civili, la libertà di parola, la guerra del Vietnam, la libertà sessuale furono prima elevati a dogmi di fede per poi essere velocemente abbandonati.

La protesta contro la guerra in Vietnam

Con l'escalation del conflitto nel Vietnam attraverso l'invio di truppe regolari a partire dal 1965, ci fu anche un mutamento nelle finalità, sempre molto confuse, dei movimenti studenteschi. Dalla lotta sociale, si passò a una contestazione politica. Si attaccava il governo per il presunto imperialismo dimostrato nell'intervenire in una guerra così distante che non era sentita come "giusta". Tutti i conflitti armati precedenti nella storia americana erano stati dipinti come "lotte per la libertà" e come tali ammantati di patriottismo e di retorica. Nell'era della televisione, le menzogne potevano essere facilmente smascherate. Nell'agosto del 1965 il giornalista Morley Safer della NBC (la rete televisiva nazionale americana), trasmise un servizio giornalistico in cui si vedeva un plotone di soldati statunitensi che dopo aver rastrellato un villaggio vietnamita in cerca di Vietcong, incendiava senza ragione le capanne e le coltivazioni. Lo sdegno provocato dalla rivelazione di comportamenti crudeli e inumani perpetrati dai soldati americani, innescò una reazione di sdegno collettivo tra i giovani, gli stessi che avrebbero dovuto partecipare alla guerra come reclute.

Inizialmente la protesta fu pacifica. Si organizzarono sit-in in molte università e cortei di protesta. Gli studenti pensavano che in una democrazia vera come quella statunitense fosse sufficiente mostrare ai propri politici gli errori che avevano commesso affinché essi correggessero il proprio comportamento. L'ingenuità di un tale pensiero è sicuramente spiegabile con un pacifismo cieco che era dilagante tra i giovani. Nessuno in quel primo periodo avrebbe mai neppure immaginato che il governo degli Stati Uniti avrebbe proseguito nel conflitto nel sud est asiatico, arrivando addirittura a utilizzare armi veramente meschine quali il napalm e i defoglianti chimici. A sollevare parzialmente il velo che copriva gli occhi di questi adolescenti rivoluzionari, sopraggiunse il sempre maggior numero di cartoline precetto per il richiamo alle armi. Al termine della guerra, ben 1.800.000 giovani americani avrebbero trascorso almeno sei mesi in Vietnam come membri delle forze armate. La risposta non fu collettiva, ma generalmente individuale. Si moltiplicarono le fughe all'estero, specialmente in Canada e Svezia, nonché il crescente numero di esoneri per cause mediche tra i ceti medio alti che fece sospettare una certa connivenza tra i medici che certificavano le malattie e le famiglie dei richiamati alle armi.

Queste due soluzioni erano possibili solo per coloro che disponevano di denaro a sufficienza per pagare o l'esilio o il tanto discusso certificato medico. Per tutti gli altri rimanevano il Vietnam oppure la clandestinità. La divisione tra gli studenti neri che, provenendo da famiglie più povere, non poterono evitare la guerra e studenti bianchi fu una delle spiegazioni per il rapido declino d'importanza dei Sds. Dopo una marcia sul Pentagono a cui parteciparono circa 75.000 persone, l'organizzazione Sds aveva creduto che fosse giunto il momento di creare un partito politico che riunisse tutti i gruppi sparsi per il paese in un'unica formazione che perorasse al Congresso la causa giovanile. Così in una Conferenza generale tenuta a Chicago si tentò di trovare delle finalità comuni a tutti i partecipanti al movimento studentesco. L'incontro fu un completo fallimento per la mancanza di ideali veramente generali, ma soprattutto di un leader riconosciuto.

Il 1968 fu l'anno dell'apoteosi e della decadenza dei Sds. Tra gennaio e giugno, centinaia di manifestazioni sconvolsero quasi tutti i campus universitari. Nonostante dopo l'offensiva del Tet, secondo un sondaggio Gallup, i favorevoli al conflitto fossero scesi dal 56% al 42%, nessuno tra gli oppositori alla guerra riteneva corretti i metodi di opposizione utilizzati dagli studenti. La crisi si aggravò nel 1969 quando gli Sds si suddivisero in corpuscoli radicali intransigenti che in alcuni casi si trasformarono in terroristi. Nel giugno di quell'anno, nacque il gruppo dei "Weathermen" (letteralmente "meteorologi", da una strofa di una canzone di Bob Dylan). Inizialmente esso aveva come scopo di "cambiare il tempo" sopra le teste dei politici di Washington, ma ben presto degenerò in una banda di azione armata, colpevole di imprese terroristiche deprecabili, inutili e soprattutto incomprese dagli altri studenti filocomunisti. Dopo l'inizio del disimpegno americano dal Vietnam (che comunque sarebbe durato fino al 1975), nessuno comprendeva per quale ragione si dovesse attaccare con la violenza le istituzioni. I Weathermen accelerarono la disgregazione dei Sds che finirono col perdere quel carattere di organizzazione nazionale per scindersi definitivamente in sottogruppi dediti alle più disparate lotte, dalla difesa dell'ambiente alla lotta contro la pena di morte. In dieci anni, il movimento di protesta studentesco aveva percorso tutto l'arco possibile di evoluzione, da espressione di protesta fino alla lotta armata, per poi spegnersi in una morte spontanea.

Gli "Hippies" e la rivoluzione sessuale.

A decretare la prematura fine degli Sds fu anche la limitata durata temporale dell'impegno politico e sociale dei giovani. Il periodo coincideva in larga misura con la durata del quadriennio universitario e una volta raggiunta la cosiddetta "maturità" scemava per lasciar spazio alla carriera, alla famiglia, ai figli. Che il sentimento di rivolta fosse un aspetto generazionale può essere dedotto anche dall'aumentato numero di fughe da casa di minorenni e dalla creazione di uno stile di vita alternativo. Il puritanesimo e le preclusioni culturali dei genitori furono solo parzialmente alla base delle quasi 90.000 fughe certificate dal FBI nel 1966. La volontà giovanile di trovare un mondo parallelo alla realtà quotidiana aveva accresciuto nel tempo l'interesse per le culture e religioni orientali e per l'esperienza con narcotici. Il boom delle droghe leggere, prima fra tutti la marijuana, fu una conseguenza tutta occidentale della ricerca di sensazioni che trascendessero l'essere umano.

Lo sviluppo delle comunità hippy fu molto più veloce di quello dei movimenti studenteschi, tanto sulla East Coast quanto sulla West Coast. Infatti, già nel 1965, nell'East Side a New York e nel quartiere di Haight Hasbury a San Francisco furono fondate le prime vere comunità che crebbero a ritmo vertiginoso fino alla metà degli anni settanta. L'uso di sostanze stupefacenti non rispondeva solo a una necessità di rottura con la cultura dominante, ma arrivò a diventare una vera e propria religione. Un professore dell'università di Harvard, Timothy Leary, espulso dall'insegnamento per fondati sospetti che consegnasse agli studenti LSD durante le lezioni, fondò la Lega per la Ricerca Spirituale che attraverso l'uso di droghe voleva raggiungere un nuovo stadio dello sviluppo umano. Famosi scrittori quali Ginsburg e Kesey, oltre a cantanti di livello internazionale come Bob Dylan, i Beatles e i Rolling Stones, si avvicinarono al culto per periodo più o meno lunghi.

Altro elemento caratteristico delle comuni hippy fu il concetto di amore libero in tutte le sue forme, che all'atto pratico si risolse in una maggiore libertà sessuale. In una società estremamente puritana, la promiscuità accentuata presente nelle comuni destò sicuramente maggior scandalo di qualunque altro "vizio" che gli hippies potessero avere. Il fatto che la maggior parte di loro fosse anche minorenne, accentuava ancor più il risentimento della classe media. Il radicale cambiamento delle abitudini sessuali portò a conseguenze importanti nei rapporti interpersonali. L'amore omosessuale non fu più considerato un tabù assoluto e le prime organizzazioni gay fecero la loro comparsa soprattutto nella zona di New York. Inoltre il forte aumento dell'attività sessuale in età adolescenziale non fu però seguito da un altrettanto netto aumento delle nascite. Nel 1960, la Food and Drug Administration aveva approvato l'utilizzo della pillola anticoncezionale come contraccettivo e immediatamente le donne avevano scoperto quali vantaggi il suo uso fornisse. La distribuzione su larga scala di un sistema di prevenzione della gravidanza, liberò le ragazze dal terrore degli anni cinquanta, cioè un figlio illegittimo, perché nato fuori dal matrimonio. Le donne mature invece, potevano perseguire il successo lavorativo con maggiore sicurezza, senza il timore di vedere interrotta la propria carriera da un figlio indesiderato.

I due elementi citati poc'anzi, furono solo la punta dell'iceberg di quel generale movimento femminista che nacque proprio negli anni sessanta. Il ventesimo secolo negli Stati Uniti fino alla Grande Depressioni aveva visto la donna nel tradizionale ruolo di casalinga e madre. Con il disperato bisogno di denaro che attanagliò le famiglie negli anni trenta, il lavoro femminile diventò sempre più frequente. Durante la seconda guerra mondiale, ciò che in principio era una necessità familiare si trasformò in un dovere nazionale. Le donne dovettero sostituire gli uomini nelle fabbriche e spesso anche nei campi. Con la fine del conflitto, la minore produzione comportò un taglio occupazionale che andò a colpire principalmente il cosiddetto "sesso debole". Quanto poco lo fosse in realtà, fu dimostrato già negli anni cinquanta. I mezzi di comunicazione di massa cominciarono a prestare attenzione a quella categoria di casalinghe, ex lavoratrici, che si sentivano frustrate dal ritorno alla "vita civile" dopo la guerra. Le migliorate condizioni economiche permisero a una percentuale sempre maggiore di donne di conseguire qualifiche universitarie pari se non superiori agli uomini, ma il contrasto netto tra i meriti personali e i livelli dirigenziali raggiungibili e le paghe ottenibili smascherò il profondo senso di insoddisfazione femminile per la realtà sociale americana. Il salario medio di una donna era tra il 59 e il 65% di quello di un uomo con le stesse mansioni e a parità di orario di lavoro. Nel 1963 la scrittrice Betty Friedan pubblicò il libro The Femine Mistique (la Mistica Femminile) che si può considerare come il manifesto del movimento femminista americano. In esso fu spietatamente descritta l'incongruenza tra lo stereotipo sociale della donna casalinga felice e l'esistenza di molte professioniste insoddisfatte e depresse.

L'insoddisfazione femminile inizialmente si concentrò negli stessi gruppi studenteschi e sugli stessi ideali condivisi da questi ultimi: la libertà di pensiero e i diritti civili. Ben presto però, le leader del movimento si accorsero che la componente maschile dei movimenti studenteschi tendeva a mettere in minoranza, coscientemente o incoscientemente, l'altro sesso. E' difficile stabilire se fosse un comportamento voluto o meno, ma sta di fatto che sebbene i gruppi femminili come la Women's International Leage for Peace (Lega Internazionale delle Donne per la Pace) e il Women Strike for Peace (Sciopero Femminile per la Pace) raccolsero un gran numero di iscrizioni, fu solo nel 1966 con la creazione della National Organization for Woman (NOW, acronimo che letteralmente significa ORA) che le rivendicazioni femminili assunsero una portata autonoma e indirizzata all'ottenimento della piena uguaglianza tra i sessi. La NOW, fondata da Betty Friedan, aveva come scopo principale una lotta politica che conducesse alla realizzazione di atti legislativi di concreta parificazione e non semplicemente misure palliative e paternalistiche come era avvenuto in precedenza per quel che riguardava il mondo del lavoro.

La lotta politica femminista non si fermò all'impostazione data dalla NOW, ma andò ben oltre. Una corrente più radicale di quella organizzazione si separò per originare il "Movimento per la liberazione della Donna", vero fulcro di quel femminismo combattente che avrebbe caratterizzato gli anni settanta. Le esponenti del movimento affermavano con convinzione che ogni aspetto personale dell'universo femminile potesse costituire argomento di lotta politica. Non quindi unicamente il mondo del lavoro, ma anche quello della famiglia e soprattutto della salute. Sotto quest'aspetto si esasperò il diritto assoluto della donna alla gravidanza. Al grido di Off Our Bodies (fuori dai nostri corpi, titolo anche di una diffusa rivista radicale del periodo), le donne pretesero la legalizzazione dell'aborto. La lotta si sarebbe conclusa solo nel 1973, con la sentenza Roe v. Wade che lo avrebbe permesso almeno nei primi mesi della gravidanza.

Come accennato in precedenza, i movimenti femministi avevano cominciato la propria attività nell'ambito dei diritti civili, per poi allontanarsene velocemente. Ciò non è del tutto vero per le esponenti nere del movimento. Le donne nere continuarono ad avere grande importanza prima nel Movimento per i Diritti Civili poi nel Black Power e persino nelle Pantere Nere. Ciò è dovuto al fatto che negli anni quaranta e cinquanta, esse erano le uniche in famiglia ad avere un lavoro ben retribuito, spesso come cameriere o governanti presso famiglie bianche. Con il progressivo inasprimento della rivolta razziale e la conseguente detenzione degli uomini neri, le donne raggiunsero più facilmente posizioni di potere che conservarono con estrema abilità. Tra esse è d'obbligo citare Fannie Lou Hamer. Nata nel 1917 nello stato del Mississippi, uno dei più segregazionisti di tutta la nazione, aveva dovuto cambiare vita quando spinta dal desiderio legittimo di partecipare al voto, si era iscritta nelle liste elettorale, essendo successivamente licenziata per tale motivo dal proprio datore di lavoro. Da quel momento in poi si batté con vigore per un'eguaglianza razziale piena, attraverso la creazione del Mississippi Freedom Democratic Party (Partito democratico per la libertà nel Mississippi) e l'organizzazione, anche a livello giovanile e studentesco, della protesta nera contro lo status quo. Gli anni sessanta furono doppiamente importanti per le donne nere. Non solo poterono ottenere importanti vittorie per il loro sesso, ma anche per la loro razza. Infatti, con il Civil Rights Act del 1964, alle donne nere, finalmente equiparate alle bianche, si aprirono nuove e inesplorate possibilità nel campo del lavoro e dell'istruzione che consentirono un miglioramento delle condizione di vita di livello esponenziale. Con l'aumentare delle risorse economiche e del livello d'istruzione, però, si evidenziò ancor più la grave discriminazione sociale in cui stava vivendo la minoranza nera negli Stati Uniti. Per tale ragione, le rivendicazione delle donne nere confluirono gradatamente in quelle degli afroamericani in genere, diventandone una componente imprescindibile.

Il "Black Power" e gli altri movimenti neri per l'uguaglianza razziale.

In uno stato in cui vige una segregazione razziale di carattere istituzionalizzato, la separazione tra le razze avviene innanzi tutto nella vita di tutti i giorni. Si tengono distinti i bagni pubblici, i posti sull'autobus, le scuole, gli ospedali, i lavori, persino le istituzioni religiose e le chiese. Chi avesse aspirato a un livello di lotta politica superiore (per la parità di voto, di retribuzione etc. etc.) avrebbe dovuto prima combattere queste quotidiane ingiustizie che rendevano invivibile l'esistenza di più di venticinque milioni di uomini e donne nere che vivevano negli stati del Sud. Ciò che parrebbe ottenibile attraverso una semplice disobbedienza sociale, cioè l'equiparazione civile tra uomini neri e bianchi, era un vero atto di coraggio per ogni individuo che intendesse esercitarla. Difatti, la resistenza della comunità bianca ad atti di aperta disobbedienza alle regole prestabilite era particolarmente tenace e, a volte, persino truce. Ciò non soltanto da parte di quei gruppi reazionari estremisti come il Ku Klux Klan, ma pure per opera della gente comune. Non era bastato il riconoscimento del diritto all'istruzione sancito nel 1954 dalla Corte Suprema nella sentenza Brown v. Board of Education per dissipare in un lampo convinzioni vecchie di secoli.

Proprio per combattere il colpevole e silente perbenismo dilagante tra la classe media bianca degli Stati del sud, il 1 febbraio 1960, Franklin McCain, Ezell Blair, Joe McNeil e David Richmond, giovani studenti del North Carolina A&T College, cominciarono la loro personale lotta contro il proprietario di un ristorante (il Woolworth) della cittadina di Greensboro, sede dell'università. Quel giorno, i quattro si presentarono nel ristorante, si sedettero nella zona riservata ai bianchi e pretesero che gli fosse servito il pranzo. Di fronte al rifiuto secco di una scandalizzata cameriera, i giovani rimasero tranquillamente al loro posto dichiarando che non si sarebbero più spostati di lì se non avessero ricevuto un trattamento eguale a quello riservato ai bianchi. L'azione era stata concordata solo pochi giorni prima e doveva limitarsi a una dimostrazione della determinazione con cui gli attivisti neri lottavano per le piccole cose quotidiane. Era stata scelta Greensboro perché le autorità municipali erano conosciute per l'illuminata conduzione di una politica di equiparazione razziale che però non si esprimeva in nulla di concreto. Il sit-in improvvisato richiamò centinaia di altri studenti neri nei giorni successivi e quando finalmente la direzione del locale si piegò alla richiesta e servì il pranzo, la piccola vittoria si trasformò in un simbolo della forza della comunità nera.

L'estate e l'inverno di quell'anno rappresentarono un vero punto di svolta per i giovani neri che si organizzarono nello Student Nonviolent Coordinating Committee (Comitato non violento di coordinazione studentesca SNCC) che avrebbe raggiunto i 70.000 iscritti. La lotta contro la segregazione non vedeva impegnati unicamente i giovani. A combattere contro la discriminazione razziale vi erano anche gli anziani come Rosa Parks che rifiutandosi di ottemperare a un'ordinanza municipale della città di Montgomery nell'Alabama che vietava ai neri di sedere nei posti anteriori degli autobus si fece arrestare, portando ancora una volta alla ribalta nazionale la questione razziale. I membri del SNCC e del CORE (Congress of Racial Equality, congresso dell'uguaglianza razziale, movimento nato nelle grandi metropoli del Nord degli Stati Uniti e composto anche da militanti bianchi) si attivarono per tutto il 1961 per ottenere la scomparsa della segregazione nei servizi pubblici nei tre stati del Sud più restii ad attuare le direttive del governo federale e cioè l'Alabama, il Mississippi e la Georgia. Furono progettati le cosiddette Freedom Marches o Freedom Raids, azioni di protesta non violenta che andavano dal sit-in alla disobbedienza a ordinanze locali.

Dopo una prima fase di sbigottimento, la comunità bianca cominciò a reagire in maniera sempre più intransigente, aumentando l'attrito con la controparte nera moderata. Come nel caso delle proteste studentesche anche le manifestazioni del SNCC e del CORE furono dapprima osteggiate e poi represse con la forza dalla polizia statale. Se le autorità locali del Sud erano naturalmente contrarie a qualunque tentativo di desegregazione, l'opinione pubblica nazionale, informata prontamente dalla stampa, cominciava a sentire come necessario un cambiamento che portasse all'equiparazione razziale anche in quelle regioni. L'afflusso pressoché incontrollato di giovani studenti bianchi che desideravano partecipare alla lotta per i diritti civili rese la situazione incontrollabile. Gli arresti dei membri del Movimento riempivano a cicli continui le prigioni della provincia americana, senza che vi fossero dei sostanziali cambiamenti in quelle realtà chiuse e rurali che rappresentavano la maggior parte degli stati in cui ancora vigeva la segregazione di fatto.

Nel 1963 il reverendo Martin Luther King Jr, importante personaggio della lotta anche negli anni cinquanta, con la sua Southern Christian Leadership Conference organizzò un'imponente rivendicazione dei diritti civili nella città di Birmingham in Alabama. Gli scontri seguiti agli attacchi della polizia portarono in prigione buona parte dei leader della congregazione, compreso King che poche settimane prima aveva ricevuto a Stoccolma il Premio Nobel per la Pace. E' di quel periodo di detenzione la sua "lettera dalla prigione di Birmingham", un elogio della tattica non violenta per il raggiungimento dei fini di parità sociale. L'agosto del 1963 fu teatro di una delle più imponenti marce di proteste mai viste a Washington D.C. 250.000 persone parteciparono alla "Marcia su Washington per il Lavoro e la Libertà", organizzata dal sindacato dei lavoratori automobilistici. Fu in quel memorabile momento che Martin Luther King pronunciò il suo I have a dream, il discorso in cui ritraeva il suo ideale sociale in cui "un giorno i figli del ex schiavi e i figli degli ex padroni potranno sedersi insieme al tavolo della fratellanza". Il livello di attrito sociale aveva raggiunto un grado così elevato che anche il presidente Kennedy dovette pubblicamente pronunciarsi per un suo impegno attivo nel rimuovere le cause di quella diseguaglianza. L'arena politica si animò di nuovi progetti di riforma che sfociarono nell'approvazione del Civil Rights Act del 1964 (sotto la presidenza Johnson) che prevedeva anche l'uso della forza per consentire a chiunque di accedere ai servizi pubblici e del Voting Right Act che estendeva il libero diritto di voto a tutta la minoranza nera degli stati del Sud.

A prima vista, tutti i punti che il Movimento per i Diritti Civili si era prefisso, erano stati raggiunto: l'inno We shall overcome (Noi vinceremo), poteva finalmente considerarsi realtà. Il 1965 che sarebbe dovuto essere l'anno della vittoria definitiva, fu invece l'inizio di una profonda revisione degli obiettivi del movimento degli afroamericani. Mentre Ella Baker, Martin Luther King e tutti gli altri leader della generazione precedente avevano lottato per una "integrazione" nella società bianca, a parità di diritti e di doveri, i giovani non erano più di quell'opinione. L'eguaglianza formale sancita dal Civil Rights Act non era più sufficiente per uomini come Malcolm X. Egli, convertitosi all'Islam, predicava con fervore l'orgoglio nero, richiamandosi a un neo marxismo veramente originale. Sulle stesse posizioni era anche Stokely Carmichael che avrebbe ereditato il ruolo di leader riformista dopo l'assassinio di Malcolm X nel febbraio del 1965. Egli fu il padre spirituale del "Black Power", l'ala oltranzista del movimento per i diritti civili, costituito dal CORE e dal SNCC in contrapposizione con la National Urban League di King. Carmichael, pur riconoscendo le vittorie del reverendo, credeva che il tempo della conciliazione fosse passato. Ne aveva avuto una prova durante la Convention Democratica per le elezioni presidenziali del 1964, quando il Mississippi Freedom Democratic Party, anziché veder riconosciuta la propria qualità di partito democratico della popolazione nera era stato sconfessato dagli esponenti liberal. I politici bianchi avevano operato le riforme più per la spinta popolare che non per effettiva volontà di uguaglianza. Se gli afroamericani volevano migliorare le proprie condizioni non potevano ricercare un'integrazione, ma creare una società a se stante.

I durissimi discorsi di Carmichael esasperarono nuovamente gli animi preparando il campo a una nuova stagione di violenza che non si fece attendere. Tra l'11 e il 16 agosto 1965, il quartiere di Watts a Los Angeles fu teatro di una sanguinoso rivolta della comunità nera. I dati ufficiali parlarono di 34 morti e 864 feriti oltre a incalcolabili danni materiali. Però le conseguenze maggiori si ebbero sul consenso dell'opinione pubblica nei confronti delle rivendicazioni del "Black Power". Il cittadino medio americano non comprese le ragioni per cui la popolazione nera di quella zona si fosse ribellata. Dopo il Civil Right e il Voting Rights act, cos'altro potevano volere gli afroamericani? Il pensiero comune della borghesia bianca poteva essere riassunto in questa semplice domanda. Altrettanto semplice era la risposta, colpevolmente ignorata dalla maggioranza della popolazione. La comunità nera di Watts voleva esattamente la stessa cosa che glia altri abitanti di Los Angeles avevano già ottenuto: la prosperità economica. Secondo stime demoscopiche (tratte da W. O'Neill, Coming Apart, An Informal History of America in the 1960), il tasso di disoccupazione di Watts era del 30% e quel quartiere era uno dei più ricchi tra quelli neri degli Stati Uniti. A Chicago e Detroit la situazione era molto peggiore.

Il proliferare delle idee radicali propugnate dal Black Power fu maggiore nelle regioni suburbane delle grandi città, dove il tradizionale mezzo di aggregazione della popolazione nera, cioè la chiesa, era meno diffuso. Nel 1966 fu fondato il Black Panther Party che si dimostrò fin dai suoi esordi la formazione più intransigente. Tra il 1966 e il 1968 si moltiplicarono le rivolte e gli scontri nei quartieri neri del Nord degli Stati Uniti, con gravi conseguenze anche per la credibilità dei leader più moderati come Martin Luther King. La sua vicinanza con esponenti dell'amministrazione Johnson gli alienò ben presto il favore di quella parte del movimento nero che si rifaceva alle idee del Black Power. In particolare non gli erano perdonati i rapporti, anche di amicizia personale, con persone che sostenevano apertamente la guerra in Vietnam, dove il numero di richiamati neri era di gran lunga superiore ai bianchi a parità di condizione sociale.

L'aumento vertiginoso degli iscritti al Black Power Movement e al Black Panther Party mise in allarme persino il FBI che, con l'avallo presidenziale, costituì unità di sorveglianza speciale per i due gruppi. Fu istituita anche una commissione del Congresso per i disordini civili che ottenne quali risultati delle proprie ricerca, la chiara sensazione che la popolazione nera degli Stati Uniti si stesse organizzando per creare una società minoritaria e separata dal resto della nazione. Queste avvisaglie di rivoluzione avrebbero avuto un fondamento di verità se i leader del Black Power fossero stati più abili politici che carismatici trascinatori di popoli. Un movimento che si prefiggesse di fondare un nuova società doveva necessariamente passare attraverso una fase rivoluzionaria che comportava la ricerca di altre componenti sociali che potessero divenire alleate nel sovvertimento dell'ordine costituito. Nell'America degli anni sessanta, l'unica corrente che avrebbe potuto aiutare il Black Power era la Nuova Sinistra studentesca degli Sds che però era composta in larga maggioranza da bianchi. Fino al 1966 la convivenza era stata possibile perché il movimento antisegregazionista credeva in una piena integrazione sociale. Però con il nascere delle nuove teorie separatiste, i moderati bianchi non erano più visti come alleati, ma piuttosto come un peso, di cui liberarsi alla svelta. Tra il 1966 e il 1967 tutti i sostenitori bianchi della causa nera furono allontanati, di fatto, se non ufficialmente.

Nel 1968 il Black Power poteva contare su un'ampia base popolare che se fosse stata convogliata in una lotta politica, forse avrebbe garantito qualche possibilità di vittoria nel progetto di una società separata. Mancavano però, come detto, delle menti politiche all'altezza. A Carmichael erano succeduti H. Rap Brown, Eldrifge Cleaver e Angela Davis, tutti incapaci di trasformare le ideologie in concrete azioni di lotta. King era ancora l'unico uomo a rappresentare la minoranza nera a livello nazionale. L'attentato che lo uccise il 4 aprile 1968 può farsi coincidere con il definitivo declino delle rivendicazioni del Black Power. Nessuno seppe raccogliere la sua eredità di uomo giusto, né fornire alla gente una nuova via da seguire che si allontanasse dagli insegnamenti del reverendo. Negli anni settanta del vento rivoluzionario portato da Malcolm X e dai suoi seguaci rimaneva solo la grande innovazione culturale. In ambito letterario, culturale e musicale si devono ricordare L'autobiografia di Malcolm X, i cosidetti "Black Studies", corsi universitari di approfondimento delle origini africane, nonché il nuovo jazz di Miles davis e John Coltrane che si richiamavano ai ritmi tribali originari.

Gli indiani americani e i Chicanos.

Una conseguenza indiretta della diffusione del Black Power fu il risveglio delle altre minoranze etniche statunitensi che erano rimaste mute per molti decenni. I nativi americani confinati nelle loro riserve, avevano subito le concessioni dell'uomo bianco più che lottare per un'equiparazione sociale. Nel 1924, gli indiani erano stati ufficialmente dichiarati cittadini, ma nel 1934 era stata riconosciuta la loro diversità culturale e gli era stato permesso di costituire governi tribali in piena autonomia. Le concessioni non potevano però nascondere la realtà che parlava di suicidi di massa tra i giovani indiani, del 40% di disoccupati nelle riserve e di un progressivo abbandono dell'identità etnica e culturale indiana. Nel 1961 ci furono i primi tentativi di organizzare un vero movimento per i diritti dei nativi americani. Seguendo le indicazioni del Nacional Congress of American Indians che si era battuto per il rispetto dei trattati firmati dal governo federale con le tribù, i giovani si unirono nel Indian Youth Council che fu l'antesignano di quel "Red Power" (letteralmente "potere rosso" che per tutti gli anni sessanta avrebbe sostenuto la necessità di una lotta non violenta per il riconoscimento dei diritti basilari degli indiani.

Le rivendicazioni indiane ebbero anche delle degenerazioni radicali come l'American Indian Movement che organizzò alcune azioni eclatanti durante i primi anni settanta: l'occupazione del Bureau of Indians Affairs a Washington D.C. e della cittadina di Wounded Knee, dove si era svolta la famosa battaglia contro il Generale Custer. In genere, però, i nativi americani conservarono una tranquillità e una determinazione dettata dalla consapevolezza di essere una nazione, sebbene parcellizzata in un gran numero di tribù più o meno numerose. I leader, come Vine Deloria jr., sostenevano che la loro lotta era assimilabile a quella, contemporanea, della nazioni africane per l'indipendenza dalle potenze coloniali.

Gli americani anglosassoni erano i colonizzatori e gli indiani i colonizzati.

Contemporaneamente al Red Power prese forza anche il movimento dei chicanos cioè di quella parte di popolazione che era di lingua spagnola. Essa era concentrata in massima parte negli Stati del sud ovest (Texas, Arizona, New Mexico e California), ma durante gli anni sessanta cominciarono a crescere le comunità di New York e Miami per la forte immigrazione da Porto Rico e Cuba. I chicanos erano sia cittadini americani, specialmente in Texas, sia immigrati (legali e non) che dovevano sbarcare il lunario sobbarcandosi i lavori più duri nelle coltivazioni di tabacco e pomodoro oppure nelle industrie tessili del Sud della California. La loro protesta si indirizzò in due vie ben distinte: la prima che trovò largo seguito tra i braccianti agricoli aveva come esponente di spicco Cesar Chavez che organizzò sindacalmente i contadini e i piccoli proprietari terrieri. La seconda si prefiggeva di raggiungere un peso politico a livello nazionale e si espresse nella fondazione del partito La Raza Unida, il cui miglior risultato fu l'introduzione dell'insegnamento della lingua spagnola nelle scuole pubbliche. Come nelle altre minoranze, pure tra i chicanos si svilupparono dei gruppi paramilitari denominati "Berretti Marroni" che, comunque ebbero scarso appeal sulla popolazione.

Cosa è rimasto di quel decennio?

Nei dieci anni di cui abbiamo parlato, gli Stati Uniti furono certamente scossi da grida rivoluzionarie provenienti da più parti. Il mito del sogno americano fu attaccato alla luce delle diseguaglianze sociali e razziali e messo in difficoltà. Eppure negli anni settanta di quel gran baccano era rimasto ben poco. Certo fu un notevole rinnovamento in ambito culturale e sessuale, ma la strada verso una piena integrazione e tolleranza non era giunta neppure a metà del cammino. Anzi, per quel che riguarda la comunità nera si ebbe una netta inversione di tendenza, con la creazione di quartieri borghesi separati. I gay che finalmente potevano mostrarsi alla luce del sole senza temere il pubblico ludibrio, erano ancora fortemente discriminati nei lavori pubblici. Le donne furono probabilmente l'unica categoria che ebbe la forza di ottenere e conservare delle importanti vittorie, quasi certamente perché si trattava non di minoranza, ma di maggioranza silenziosa. Le esperienze vissute da dimostranti negli anni dell'università fu molto spesso nascosta dai laureati che entravano nel mondo del lavoro e coloro che avevano lottato contro la guerra nel Vietnam si riciclarono con maggiore o minore successo nell'altrettanto ardua lotta in difesa dell'ambiente, senza mutare le idee che li muovevano. Il sempre crescente uso della droga, divenuta d'uso quotidiano, si sarebbe segnalato, purtroppo, come la conseguenza più duratura degli anni sessanta.

Fonti: W. O'Neill, "Coming Apart, An Informal History of America in the 1960; Giuseppe Mammarella, "Storia degli Stati Uniti dal 1945 a Oggi", editori Laterza; Peter N. Carroll e David W. Noble "Storia Sociale degli Stati Uniti", Editori Riuniti; E. Vezzosi, "Società e Cultura" in "Gli Stati Uniti dal 1945 a oggi", Editori Laterza.