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GUERRA È PACE
Non si tratta di scegliere tra Stati Uniti e taliban. Ma di sottrarsi alla morsa di ogni fondamentalismo di ARUNDHATI ROY, OUTLOOK, INDIA

Mentre il buio calava su Kabul, domenica 7 ottobre 2001, il governo statunitense, appoggiato dalla Coalizione internazionale contro il terrorismo (il nuovo, docile surrogato delle Nazioni Unite), ha lanciato un attacco aereo contro l’Afghanistan. I canali televisivi hanno indugiato su immagini animate al computer di missili Cruise,
bombardieri Stealth, Tomahawk, missili “bunker-buster”, acchiappa-bunker e bombe Mark 82 sganciate dall’alto. In tutto il mondo i bambini sono rimasti a guardare con gli occhi sbarrati e hanno smesso di frignare per avere nuovi videogame.
All’Onu, ridotta ormai a una sigla vuota, non è stato neppure chiesto di autorizzare gli attacchi aerei: come ha detto una volta Madeleine Albright, “gli Stati Uniti agiscono multilateralmente quando possono, e unilateralmente quando devono”. Le “prove” contro i terroristi sono state discusse fra amici all’interno della “Coalizione”. Dopo essersi consultati, hanno annunciato che non aveva nessuna importanza se le “prove” avrebbero retto o meno in un tribunale. E così, in un attimo, secoli di giurisprudenza sono stati gettati con noncuranza nella spazzatura.
Niente può scusare o giustificare un atto di terrorismo, che sia commesso da fondamentalisti religiosi, milizie private e movimenti di resistenza popolare, o spacciato da un governo legittimo come una guerra di punizione. Il bombardamento dell’Afghanistan non è una vendetta per New York e Washington. È l’ennesimo atto di terrorismo contro l’umanità. Ogni persona innocente che viene uccisa deve essere aggiunta, e non sottratta, all’orrendo bilancio dei civili morti a New York e a Washington.
La gente raramente vince le guerre, i governi raramente le perdono. La gente viene uccisa. I governi si trasformano e si ricompongono, come le teste di un’idra. Usano la bandiera prima per incellofanare la mente delle persone e soffocarne il pensiero, e poi come sudario cerimoniale per
avvolgere gli straziati cadaveri dei loro morti volenterosi. Da entrambe le parti, in Afghanistan come in America, i civili ora sono ostaggio delle azioni dei loro governi. Senza saperlo, le persone comuni di questi due paesi hanno qualcosa che le unisce – devono convivere con il terrore cieco, imprevedi-bile.
A ogni grappolo di bombe fatto cadere sull’Afghanistan, in America corrisponde un’escalation dell’isteria di massa per l’antrace, per la paura di nuovi dirottamenti e di altri attentati terroristici.
Non esiste una facile via d’uscita dalla paludosa spirale di terrore e brutalità che oggi incombe sul mondo. È giunto il momento che la razza umana si fermi e riscopra i suoi pozzi di saggezza collettiva, antica e moderna. Quello che è successo l’11 settembre ha cambiato il mondo per sempre.
Libertà, progresso, ricchezza, tecnologia, guerra – queste parole hanno assunto un nuovo significato. I governi devono riconoscere questa trasformazione e affrontare i loro nuovi compiti con un briciolo di onestà e umiltà. Purtroppo, finora dai leader della Coalizione non è venuto nessun segno di introspezione. E neppure dai taliban.

continua >>>>>

 

 

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