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Gotico Americano: autoritratto in un mondo torturato di Tom Engelhardt (Fonte)

La guerra al terrorismo torna alla ribalta per i crimini contro i prigionieri commessi nelle basi e nelle prigioni militari, come accaduto nell'isola di Diego Garcia o a Guantanamo. Un macabro, quanto reale, ritratto dell'Impero americano.

 

Eccoci qua, che ci piaccia o no, catapultati nel 2005, dato che il tempo ha alcune caratteristiche in comune con uno tsunami. Al volgere dell’anno la natura ha messo sotto scacco l’amministrazione Bush in un modo appropriato, anche se terribilmente biblico, con un colpo di prelazione contro i bagnasciuga affollati di ricchi turisti e poveri contadini allo stesso tempo. E perfino nel bel mezzo dell’orrore collettivo, ciò che è l’amministrazione Bush e ciò che noi stiamo indecorosamente diventando hanno fatto mostra di sè.

Solo un piccolo punto nel vasto bacino dell’Oceano Indiano "sembra aver ricevuto, in anticipo, un avvertimento dell’arrivo delle onde – l’isola apparentemente britannica di Diego Garcia, che in effetti è una base militare americana, una portaerei stazionata permanentemente per la guerra in Iraq. Ospita anche "Camp Justice", uno dei piccoli luoghi di villeggiatura segreti che l’amministrazione ha costruito, o preso in appalto, per trattenervi prigionieri “di prestigio” durante la guerra al terrore.

Il campo, il cui nome sarà stato dato da qualcuno che doveva essere un fan di Orwell, fa parte di un Triangolo delle Bermuda di ingiustizia costruito dall’amministrazione Bush – due sistemi carcerari collegati: uno gestito dal Pentagono e l’altro dalla CIA, entrambi pensati per tenere i prigionieri e le pratiche qui perpetrate lontano dagli occhi indiscreti del pubblico americano e del suo sistema giudiziario; entrambi, come si sta scoprendo adesso, collegati a quella perla che è Guantanamo (o Gitmo per gli appassionati ) – un macabro campo per prigionieri costruito in una vicinissima zona di Cuba, controllato dagli Usa e ancora - o almeno così speravano gli ufficiali di Bush fino a quando la corte Suprema non ha altrimenti disposto l’anno scorso – fuori dalla portata dei tribunali americani.

Nelle basi militari come quella di Diego Garcia e in particolari prigioni militari – o controllate dalla CIA - come Guantanamo, la “guerra al terrorismo” è stata portata alla ribalta per i metodi con cui gli ufficiali dei servizi segreti americani hanno cercato di “spezzare” qualsiasi prigioniero fosse qui trattenuto. Sia che fosse a Guantanamo, ad Abu Grahib in Iraq, sulla base aerea di Bagram in Afghanistan, sulle navi della marina mmericana , o in appalto alle galere delle nazioni alleate dove durante gli interrogatori si pratica la tortura, questo variegato e sempre crescente mini-gulag non è mai stato destinato a essere un sistema di detenzione criminale – da qui deriva la mancanza di imputazioni, e di processi di alcun tipo, ovunque nell’impero.

Doveva essere un’eterna operazione di holding per la “Quarta Guerra Mondiale”, la guerra a seguito della Guerra Fredda, che i devoti neocon si aspettavano durasse altrettanto. Ora, secondo l’ultima relazione fatta da Dana Priest del Washington Post, l’amministrazione sta seriamente considerando di costituire una serie di ratifiche legali post-penali capaci di punire con l’ergastolo al di là delle imputazioni e fino alla fine dei tempi.


Isola del diavolo, USA
C’è qualcosa, suppongo, che odia i segreti– e così, alla fine dell’anno di Abu Grahib, sono saltate fuori e finite sui giornali sempre più notizie riguardo al mondo segreto delle torture americane (generalmente definite dalla stampa “abusi”), in gran parte grazie ad alcune soffiate provenienti da fonti anonime, ma senza dubbio furibonde, all’interno della “comunità” militare e dei servizi segreti.

Per esempio, a dicembre, abbiamo saputo da Dana Priest e Scott Higham del Washington Post, che hanno realizzato alcuni tra i migliori reportage dell’informazione mainstream, che nel cuore più profondo del campo prigionieri di Guantanamo c’era un’ala super-segreta della CIA, costruita nell’ultimo anno, per prigionieri di prestigio che in precedenza erano stati trasportati in lungo e in largo in tutto il mondo, “una struttura detentiva per prigionieri importanti di al Qaeda che non sono mai stati menzionati in pubblico”.

Consideriamoli menzionati. E come sono stati passati per tutte le aree detentive della CIA sul pianeta? Bene, alla fine dell’anno Priest ha rivelato che la CIA ha una propria arma aeronautica, forse formata da un solo jet, per trasportare questi prigionieri peripatetici intorno al pianeta – un turbojet Gulfstream V, il modello preferito dai direttori generali e dalle celebrità [che] … fin dal 2001… è stato visto in aeroporti militari dal Pakistan all’Indonesia, alla Giordania, talvolta mentre imbarcava passeggeri incappucciati e ammanettati. “E’ registrato a nome di una società fittizia comandata e diretta da uomini fittizi e ha il “permesso di usare i campi d’atterraggio statunitensi in tutto il mondo”.

Un elenco dei luoghi in cui è stato avvistato offre una mappa suggestiva, anche se parecchio incompleta, degli oscuri sistemi di detenzione segreta: “Dall’ottobre 2001 l’aeroplano è atterrato ad Islamabad, Karachi, Riyadh in Arabia Saudita, Dubai, Tashkent in Uzbekistan, Baghdad, Kuwait City, Baku in Azerbaijan, e Rabat in Marocco. Si è fermato spesso nell’aeroporto Internazionale di Dulles, in quello militare di Amman in Giordania e negli aeroporti di Francoforte in Germania, di Glasgow in Scozia e di Larnaca a Cipro".

Egitto e Thailandia, per esempio, mancano dalla lista, sebbene sia ragionevole credere che alcuni detenuti siano stati trattenuti dalla CIA nelle prigioni dei due paesi in quanto parte del programma di "consegna straordinaria" - un eufemismo distorto si riferiscce alla politica, che risale agli anni di Clinton, ma che ha davvero trovato il ritmo giusto dopo l’11 settembre, in virtù della quale è stata appaltata la tortura dei prigionieri a paesi in passato hanno brillato per azioni di questo tipo.

Nel frattempo, verso la fine dell’anno, l’American Civil Liberties Union, appellandosi al Freedom of Information Act (che l’amministrazione Bush ha fortemente tentato di limitare) ha ficcato il naso in una serie di sbalorditive email e di note interne di agenti dell’FBI, turbati e arrabbiati, che erano stati presenti agli interrogatori a Guantanamo. Scrivendo ai loro superiori, protestavano per la natura dei metodi “umani” che gli agenti militari usavano a Guantanamo. (Per inciso, non è curioso che sia stata la ACLU, e non i media, a fare tutto il lavoro necessario per tirare fuori questi documenti?)

Quando l'ACLU iniziò a occuparsi di Guantanamo, quello che inizialmente aveva tra le mani erano perlopiù lamentele degli ex prigionieri, molte delle quali, nonostante fossero fedeli alla realtà, vennero facilmente contestate. Ora l’FBI ha inchiodato il governo riguardo a quanto accaduto sulla nostra Isola del diavolo, malgrado infiniti dinieghi.

Questi documenti sono un’indicazione chiara che la tortura, i maltrattamenti e gli abusi nelle prigioni, nelle aree detentive, nei campi militari e nelle stanze per interrogatori controllati dall’America si aggiungono ad un’altra impressionante sfilza di contravvenzioni alla Convenzione di Ginevra (“A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:(a)le violenze contro la vita e l’integrità fisica, specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi; (b) la cattura di ostaggi; (c) gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti…) e che, mutuando una frase utilizzata per la prima volta poco tempo fa in un recente titolo dell’editoriale del Washington Post , “i crimini di guerra” sono stati commessi di routine fuori dall’impero.


Ricordiamo per un momento cosa ha dovuto dire il presidente Bush, in una conferenza stampa lo scorso giugno, riguardo alle accuse di tortura: “Guardi, lo ripeto ancora una volta. Forse riuscirò a essere più chiaro. Le istruzioni sono state date alla nostra gente in conformità alla legge. Questo dovrebbe confortarvi. Siamo una nazione di legge. Aderiamo alle leggi. Abbiamo leggi sui libri. Dovreste guardarle. E questo dovrebbe tranquillizzarvi. Queste sono state le istruzioni che ho dato al governo.”

“Una nazione di legge” e che dovrebbe tranquillizzarci. Gli Stati Uniti, ovviamente, hanno firmato la Convenzione di Ginevra e, in quanto firmatari, sono pienamente vincolati a essa poichè, secondo l’articolo 6 della Costituzione americana, “Tutti i trattati ratificati, o che dovranno essere ratificati, sotto l’Autorità degli Stati Uniti, dovranno essere la Legge Suprema del Paese.” Meglio di così! E questo è vero, e non importa per quante volte il nostro procuratore generale designato (il nuovo ministro della giustizia, Alberto Gonzales, ndr) faccia riferimento a una serie di documenti legali creati per dare all’amministrazione la possibilità di torturare piacimento e alla Convenzione di Ginevra, definendola un documento“d’altri tempi”.

Fatevi in un giro tra le altre recenti rivelazioni riguardo alle torture, inclusa la protesta di un prigioniero britannico a Guantanamo, per esempio, che afferma di essere stato sottoposto a “lo ‘strappado’, una tecnica comune nelle dittature latinoamericane in cui un prigioniero viene lasciato sospeso a una sbarra con le manette finchè queste non gli fanno un taglio profondo ai polsi” e finirete in un menu alla Grand Guignol* di tecniche di interrogatorio A loro volta queste si aggiungono a qualcosa di simile a un autoritratto che l’amministrazione Bush fa di sé per il resto del mondo.

Una elenco parziale dei metodi di tortura riportati di recente (o riportati di nuovo) potrebbe includere: detenuti incatenati mani e piedi al pavimento in posizione fetale per più di 24 ore senza cibo e acqua e lasciati stesi sulle loro feci; detenuti incappucciati percossi e presi a calci; fatti sfilare nudi intorno ad un cortile mentre vengono scattate loro delle fotografie; lasciati a temperature estremamente calde o fredde per lunghi periodi, avvolti in una bandiera israeliana con sottofondo di musica rap ad altissimo volume e luci stroboscopiche. O forse possono venire strappate loro le unghie, infilate sigarette accese nelle orecchie. Possono aver subìto la privazione del sonno, lo strangolamento parziale, minacce di morte durante gli interrogatori, l’uso di cani per obbligarli ad urinare, cavi di un trasformatore elettrico legati alle spalle affinchè il detenuto “danzi come fosse scioccato”; finti annegamenti detti "waterboarding"; finte esecuzioni di giovani iracheni; gravi ustioni alle mani, perché coperte d’alcool e incendiate, pistole puntate alla testa del prigioniero mentre un marine scatta delle foto, finte (e vere) aggressioni sessuali e sodomizzazioni; colpi coi calci dei fucili, elettroshock e immersioni in acqua fredda, pestaggi a morte. Questi ed altri crimini contro l’umanità hanno avuto luogo da Guantanamo all’Iraq, dall’Afghanistan fino alle prigioni segrete della CIA nel mondo.

Una volta che togli certi tipi di restrizioni, una volta che apri certe possibilità, queste tendono a trasformarsi in azioni a una velocità sconcertante e quindi a moltiplicarsi come fossero virus informatici. In mare aperto e lontano da cas, la tortura pare svilupparsi, come modus vivendi, con una rapidità sorprendente. Inizia dai punti più alti con un senso di impunità, e presto infetta gli angoli e i recessi più distanti, gli avamposti più lontani, le polveriere e le celle di detenzione di paesi lontani come l’Afghanistan. Si muove come fosse argento vivo fino a quelle “mele marce” che prendono posto nel turno di notte scattando foto digitali per i futuri screen-saver nelle Abu Grahib del mondo. E’ già diventato un modo di vivere americano ed, essendo iniziato a casa, ritornerà di certo in madrepatria.

Prendiamo solo un piccolo esempio di come possano essere diffuse e comuni tali pratiche: durante il recente assalto a Falluja le truppe americane si sono imbattute in Mohammad al-Jundi, l’autista siriano dei due giornalisti francesi sequestrati (e poi rilasciati). Questo avvenimento fu presentato dai nostri notiziari come una piccola liberazione di un prigioniero in mano ai terroristi. Quale pensate sia stata la prima cosa che ha fatto questo ex autista quando è stato liberato? Secondo la Agence France-Presse, ha querelanto i suoi liberatori americani per torture e maltrattamenti. Il suo avvocato francese Jacques Verges ha detto che "dopo essere stato trovato dalle truppe americane, al-Jundi è stato portato in manette in una base militare dove è stato picchiato e preso a calci". Verge ha detto, inoltre, che "al-Jundi ha affermato di essere stato terrorizzato per tre volte con finte esecuzioni e torturato con l’elettroshock". Ehm. Vita di frontiera.

Militarismo come religione

La questione è, naturalmente, la responsabilità. Su cosa si basa esattamente? Tra le rivelazioni più impressionanti (e meno riportate dalla stampa) della ACLU c’è un’unica e-mail dell’FBI inviata da Guantanamo ad alcuni ufficiali superiori dell’FBI negli Stati Uniti che “fa 11 volte riferimento ad un ordine esecutivo ‘firmato dal Presidente Bush’ che autorizzava questi metodi di interrogatorio abusivo… che permetteva interrogatori militari in Iraq per mettere i detenuti in una condizione di stress doloroso, imponeva la privazione dei sensi attraverso l’uso di cappucci, li intimoriva con i cani e con altri metodi coercitivi”.

Altre e-mail legano il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e il Sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz ai metodi estremi utilizzati a Guantanamo. (Notate a proposito che, mentre la nostra stampa generalmente non usa la parola “tortura” quando descrive le azioni compiute a Guantanamo o altrove, gli agenti dell’FBI non esitano a farlo)

Se dunque c’è stato un ordine – la Casa Bianca lo nega, ma a questo punto non significa niente– c’è stato sicuramente anche una diffusa sensazione di potere tra coloro che hanno compiuti gli interrogatori, le torture, i maltrattamenti a Guantanamo.

Ma mi sto autoscavalcando. Stavo parlando della straordinaria isola di Diego Garcia quando sono finito a parlare del lato oscuro dell’impero. Sappiamo solo ciò che ci dicono i militari – niente danni – riguardo gli effetti dello tsunami su questa isola davvero poco elevata, solo una media di 4 piedi sul livello del mare, ma non è così strano. L’isola è stata un’area di black-out, una zona di silenzio nell’Oceano Indiano fin da quando, per fare un favore a noi Yankee, gli inglesi hanno spostato tutti gli abitanti dell’isola, in miseria e povertà, sull’isola Mauritius, sgombrando tutto per noi.

Com’è normale consuetudine, qualcuno sul web ha immediatamente concluso che c’era qualcosa di profondamente cospirativo riguardo il fatto che solo l'isola di Diego Garcia avesse ricevuto immediatamente la notizia dello tsunami . Ma la ragione è semplice: diversamente dai governi dell’Asia meridionale, il Pentagono aveva accordi con alcuni reti scientifiche di allerta immediata, così come è collegata con tutto ciò che conta su questo pianeta.

Il Pentagono diventa sempre più come quella famosa creazione della fantascienza degli anni ’50, il Blob; una forma di vita aliena capace di assorbire qualunque cosa attraversi il suo cammino. Ha inghiottito, per esempio, molte delle funzioni del Dipartimento di Stato e, avendo diviso il globo in 5 zone e truppe militari (l’ultimo dei quali è –gulp!—Northcom, che significa noi americani), e hanno fatto lo stesso con i cieli (Spacecom), i suoi comandanti adesso girano il mondo come fossero plenipotenziari planetari.

Qui, per esempio, riportiamo come il giornalista del Washington Post David Ignatius ha descritto l' innario da processione del nostro ultimo comandante del Centcom:
"Il Gen. John Abizaid probabilmente comanda la più potente forza militare della storia. Le truppe del suo Comando Centrale sono schierate attraverso la frastagliata mezzaluna del Medio Oriente, dall’Egitto al Pakistan, in una schiacciante proiezione del potere statunitense. Viaggia col suo personale mini-governo: un alto funzionario del Dipartimento di Stato per gestire la diplomazia; un ufficiale maggiore della CIA per sovrintendere ai servizi segreti; un seguito di generali e ammiragli per dirigere le operazioni e la logistica. Se c’è un moderno Imperium Americanum, Abizaid ne è il generale maggiore."

Davvero. I militari sono diventati non solo la nostra forza di guerra e di occupazione, ma la nostra principale risorsa per far “nascere una nazione”, la nostra forza diplomatica (ora che le relazioni da militare a militare sono divenute l’essenza della politica estera), la preponderante forza dei servizi segreti, un considerevole equipaggiamento di propaganda (o di diplomazia pubblica, se volete chiamarla così), il nostro ministero centrale per la ricerca avanzata e lo sviluppo scientifici, l’unica parte del governo seriamente preparata ad un mondo soffocato dal riscaldamento globale e la nostra salvezza planetaria– per elencare solo alcuni dei suoi ruoli. E molti altri devono ancora arrivare .

Prendiamo, per esempio, i servizi segreti. Quel jet della CIA potrebbe sembrare stravagante, ma, in realtà è una pallida ombra della CIA aerotrasportata dell’era del Vietnam, quando gestiva sotto copertura una linea aerea di grande scala, la Air America. Il Pentagono adesso controlla circa l’80% dei 40 e più miliardi di dollari della nazione, stanziati per i servizi segreti ed è chiaramente molto più avida.

Forse il più curioso resoconto della stagione pre-natalizia è stato un pezzo in prima pagina sul New York Times di Douglas Jehl and Eric Schmitt (Il Pentagono cerca di espandere il suo ruolo nella Intelligence-Collecting). L'articolo parlava di un piano messo in piedi dall’ora infame fondamentalista cristiano Sergente Generale, William G. Boykin ("George Bush non è stato eletto dalla maggioranza dei votanti negli Stati Uniti, ma è stato designato da Dio.”), che dà una bella torsione al concetto di "intelligence gathering":
"Tra le idee citate dagli ufficiali del Dipartimento della Difesa c’è quella di ‘combattere per le informazioni’ o di iniziare operazioni di combattimento principalmente per ottenere informazioni. La proposta richiede anche una maggiore espansione della raccolta di informazioni 'umane', cioè informazioni raccolte da spie piuttosto che tramite mezzi tecnologici, sia all’interno dei servizi militari che di quelli della Difesa, includendo più missioni il cui scopo sia quello di acquisire informazioni specifiche tra coloro che fanno politica."

Combattere per [riempite voi lo spazio]. Ciò riassume la nostra era Bush. Siamo una nazione il cui volto pubblico – in qualunque modo possiamo ancora pensarlo– non è più civile, non solo in Iraq ma in tutto il mondo. Essenzialmente perché, se si potesse dire che la gente di Bush ha una religione, forse non sarebbe un cristianesimo fondamentalista quanto un profondo e costante credere nell’abilità di un superpotere militarizzato che impone le sue vedute e i suoi desideri sul mondo soltanto attraverso la forza militare.

Il militarismo in America è stato da sempre una strana creatura, poiché alla nostra società è mancata la maggior parte dei normali simboli di uno stato militarizzato. Ma c'è una creatura post-11 settembre perfino più strana. Dopo tutto i militaristi che guidano la politica sono un gruppo di uomini tra i quali quasi nessuno è mai stato nelle forze armate (e nemmeno ha mai prestato servizio in guerra) e molte delle loro linee politiche sono state criticate persino dagli onorevoli (e inorriditi) ufficiali militari e dei servizi segreti che riconoscono la follia, la stupidità e l’illegalità quando la vedono e non hanno interesse nel vedere i loro nomi o i loro servizi trascinati nel fango imperiale. (Da qui tutte le fughe di notizie per la stampa.)

L’amministrazione Bush ha reso chiaro il suo approccio nel National Security Strategy of the United States, un documento chiave rilasciato nel 2002, così come in vari discorsi presidenziali al tempo. In questo documento l'ammnistrazione palesa ed enfatizza il suo sostegno non ad una guerra di prelazione, ma “preventiva”, il suo intenso desiderio di fare tutto a livello internazionale ma in autonomia (nessun "global test"); l’importanza di mantenere un eterno dominio militare americano, contro qualsiasi futura combinazione di poteri concepibile, in un mondo altrimenti privo di un superpotere e l'insistenza nel portare avanti la forza come principio fondamentale. Da queste posizioni una concetto come quello della tortura, che dopo tutto è forza senza limiti in una cella da interrogatorio, deriva naturalmente. E’ questo l'atteggiamento collettivo che è stato messo in pratica l’11 settembre 2001 e che, da allora, ha determinato quasi ogni atto dell’amministrazione.

Notate, per esempio, la risposta dell’amministrazione al catastrofico tsunami di Sumatra. Sebbene fin dalle prime ore l’evento fosse visibilmente apocalittico e il conto dei corpi fosse già destinato a essere astronomico, il Presidente ha passato tre giorni in vacanza a tagliare erba nel suo ranch di Crawford in piacevole silenzio (così come il suo partner Tony Blair ha continuato le vacanze nell’assolato Egitto). Dopo tutto le perdite non erano americane; il terrorismo non c’entrava; e non era successo a New York City, ma in paesi musulmani, indù e buddisti. E le minuscole quantità di aiuti sono state annunciate da una figura amministrativa di secondo piano in un momento in cui, come Juan Cole ha fatto notare sul suo sito Informed Comment , si stava spendendo con insuccesso un abbagliante miliardo di dollari a settimana per imporre il volere americano su un recalcitrante Iraq.

Quando le critiche e l’imbarazzo sono diventati tropp evidenti – e viene fuori che persino questo Presidente è soggetto ai "global test" - George è emerso dall’ibernazione per elogiare la generosità americana (“siamo una nazione davvero generosa e d’animo gentile”) e per annunciare che avrebbe preso avvio una straordinaria opera di soccorso guidata da… non sorprendetevi adesso… dal Pentagono. (“Stiamo inviando nell’area un'unità dei marines, la portaerei Abraham Lincoln, e un battaglione della marina per aiutare con operazioni di soccorso.”). Il semplice concetto di un’operazione di soccorso civile naturalmente non gli è mai passato in mente, eccetto – per un’amministrazione intenta a spogliare il governo civile del suo ruolo nella società – in termini di carità privata per la quale due ex presidenti si mobiliteranno in seguito.

Allora ignoravamo che i vari gruppi di soccorso (incluse le Nazioni Unite), civili per natura, con un’ampia esperienza in situazioni come quella, avevano mandato Hurricane Jeb e il nostro sempre più pugnace Segretario di Stato uscente per fare una stima americana dei bisogni dell’Asia.

(L’amministrazione Bush, tra parentesi, non è stata la sola ad adeguarsi al personaggio Come Bill Berkowitz, l'autorevole pubblicista del sito Working for Change ha commentato, le organizzazioni fondamentaliste cristiane come Family Research Council, Christian Coalition, Focus on the Family e Concerned Women for America, alla maniera del presidente, hanno sofferto di un istantaneo “deficit di compassione”, coi loro siti internet rimasti per giorni 'senza tsunami'; mentre Doug Ireland, il cui blog tanto provocatorio quanto divertente dovrebbe essere una fermata obbligatoria per chiunque passi per il Web, mi ha fatto notare che il sito della Westboro Baptist Church stava già dichiarando lo tsunami la risposta di Dio ai gay svedesi in vacanza. “Ringraziamo Dio per gli tsunami - e per i 5000 morti svedesi! Dio sta ridendo, sta canzonando e beffandosi degli svedesi e della Svezia, perfino se si affliggono e piangono i per i loro morti!"

Niente di tutto questo è esattamente sorprendente. Quando un’amministrazione impegnata in una forma di isolazionismo imperiale armato (una bizzarra inversione della vecchia tradizione isolazionista del Partito di Taft, adesso sposata ai sogni imperiali e guidata in profondità nel cuore del mondo) e posseduta dll’idea di dominare il pianeta con atti di forza, è quasi destinata comportarsi in maniera tanto prevedibile.

Levarsi i guanti

Mentre reportage su reportage – e io riesco a stento a seguirli tutti, figuriamoci a riepilogarli— hanno condotto la tortura sempre più in profondità nella vita ordinaria dell’impero, sappiamo anche sempre più cose riguardo acome e dove è iniziato tutto questo; riguardo, potreste dire, al momento della creazione.

C ome dimostrano le dimostrazioni di forza dell’era Clinton, o i piani neoconservatori disposti negli anni '90 per buttare giù Saddam Hussein, o l’istituzione di uno stato di sicurezza nazionale nei primi anni della Guerra fredda, o - come possono attestare ex prigionieri latinoamericani dagli anni '60 agli '80- i metodi di tortura impiegati o insegnati dalla CIA o dai militari statunitensi, molto di quello che è accaduto dopo l’11 settembre 2001 ha un bel po’ di storia alle spalle.

L’amministrazione Bush non ha affatto creato il nostro mondo americano dal nulla. Ma certamente ha accelerato la tendenza al militarismo, ha portato la tortura fuori dallo sgabuzzino – rendendola qualcosa di molto vicino alla polizia di stato ufficiale – ha iniziato a costruire un gulag globale in scala ridotta per intonarvisi, ha mescolato gli estremi dell’espressione politica e religiosa americana in modi nuovi, e ha fondato ciò che può essere chiamata una Patria Nazionale di Insicurezza in corso.

Ognuno di noi ha una personalità o un carattere sviluppato durante tutta la vita che si rivela in modi ragionevolmente prevedibili sotto pressione; così, si può dire, fa un’amministrazione. Gli assalti dell’11 settembre erano un momento di pressione. Si può guardare a quel giorno e alle settimane che seguirono come ad una sorta di test di Rorschach per le amministrazioni. Ciò che ha istantaneamente galleggiato sulla superficie del cervello collettivo di Bush, sotto la pressione (e le possibilità di sviluppo) di quel momento avrebbe di fatto definito gli anni a venire; e potrei dire che due cose più di tutto sono venute a galla.

La prima è stata ovviamente l’Iraq – l’impulso di buttare giù il regime di Saddam Hussein e di ricostruire con la forza il Medio Oriente lungo linee che i neocon hanno a lungo sognato; la seconda, nello spirito di Giano, il bifronte dio romano della guerra, è un impulso duplice: elevare il presidente al rango di leader del tempo di guerra, spogliandolo di tutte le soggezioni e restrizioni, domestiche o internazionali, e renderlo libero di ordinare atti precedentemente ritenuti atroci. La libertà dell’esecutivo di ordinare le torture potrebbe essere, dopotutto, l’ultima prova della libertà che ha l’amministrazione di fare qualsiasi cosa.

Ciò ci aiuta a spiegare, almeno in parte, ciò che William Pfaff, articolista per l’International Herald Tribune ha di recente definito “ l’aspetto più impressionante di questa guerra al terrorismo”, un “entusiasmo per la tortura” tra i più alti ufficiali del paese, tale da renderlo parte della politica pubblica. Dopo tutto, mentre Guantanamo era stata progettata per essere fuori della portata della legge, ciò che accadde di lì in avanti, alla luce del sole o meno, fu un’intensa creazione pubblica gestita con orgoglio dall’amministrazione.


Riguardo all’Iraq sappiamo che, secondo alcune appunti presi dai suoi associati (come la CBS ha riferito un anno dopo), “neanche cinque ore dopo che il volo 77 dell’American Airlines è piombato sul Pentagono, il Segretario per la Difesa Donald H. Rumsfeld diceva ai suoi aiutanti di campo di presentarsi con piani di attacco contro l’Iraq”, anche se era già sicuro che fosse stata che al-Qaeda a lanciare l'attacco. (“ Andateci pesante", riportano gli appunti. "Spazzate via tutto. Cose che c’entrano e non c’entrano”)

In quel momento il Pentagono stava ancora fumando. Più tardi quello stesso giorno, Richard Clarke, l’esperto di antiterrorismoche aveva partecipato a molti incontri chiave, disse “Rumsfeld ha detto che dobbiamo bombardare l’Iraq… E noi tutti abbiamo detto… no, no. Al-Qaeda è in Afghanistan. Dobbiamo bombardare l’Afghanistan. E Rumsfeld ha detto che non ci sono dei buoni obiettivi in Afghanistan. E che ci sono tanti buoni obiettivi in Iraq”. Il Presidente di ritorno alla Casa Bianca più tardi quel giorno, “mi trascinò in una stanza”, ricordò Clarke, “con un paio di altre persone, chiuse la porta e disse: “Voglio che scopriate se l’Iraq ha fatto questo”. Non ha mai detto ‘inventatelo’ Ma l’intera conversazione non mi lasciò assolutamente nessun dubbio sul fatto che George Bush volesse un rapporto che diceva che l’Iraq aveva fatto questo."

A metà 2003, l’attendibile Jim Lobe of Inter Press Service scriveva:
"Sembra sempre più chiaro che che gli ufficiali e i loro alleati esterni all’amministrazione intendevano usare gli attacchi terroristici dell’ 11 settembre 2001 come un pretesto per muovere guerra all’Iraq entro poche ore dagli attacchi stessi. All’interno dell’amministrazione i principali sembravano aver incluso il capo del Pentagono Donald Rumsfeld, il Segretario Delegato alla Difesa Paul Wolfowitz, il Vicepresidente Dick Cheney, e il suo consigliere nazionale per la sicurezza, I. Lewis Libby, oltre ad altri membri del Consiglio Nazionale per la Sicurezza e del Dipartimento di Stato."

Solo 9 giorni dopo l’11 settembre, il numero tre della Difesa, Douglas Feith suggerì di "colpire i terroristi fuori dal Medio Oriente nell’offensiva iniziale, selezionando forse deliberatamente un obiettivo non connesso direttamente ad al Qaeda come l’Iraq." E due settimane dopo gli attacchi, il Sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz stava già implicitamente additando l’Iraq di Saddam Hussein prima di un incontro dei ministri della NATO e il gioco, come si suol dire, era già pubblicamente in moto.

Nel frattempo, come si è saputo solo di recente grazie a Michael Isikoff del Newsweek, dopo due settimane dall’11 settembre l’avvocato del Dipartimento di Giustizia John Yoo stava già scrivendo una nota interna segreta all’assistente del consigliere legale della Casa Bianca Alberto Gonzalez, intitolato "L’autorità costituzionale del Presidente deve condurre operazioni militari contro i terroristi e contro le nazioni che li sostengono," che suggeriva una sconcertante nuova interpretazione della portata del potere presidenziale: “Nell’esercizio del suo potere di usare la forza militare ‘ le decisioni del presidente dipendono da lui e non sono riesaminabili.’”

Questa nota interna, come spiega Isikoff, prepara una linea di discussione riguardo agli ampi poteri presidenziali in tempo di guerra che si ripeterebbe ancora in una serie di note interne segrete alla Casa Bianca riguardo alle decisioni controverse nella guerra al terrorismo. Gli argomenti proposti da Yoo, un prolifico conservatore che da allora ha lasciato il Dipartimento di Giustizia, raggiungensero il loro apice quando, quasi un anno dopo, in un’altra nota interna scritta dal collega Jay Bybee, l’ufficio del Consiglio Legale concluse che i poteri del presidente sono così estesi che lui e i suoi delegati non sono soggetti alle leggi del Congresso o ai trattati internazionali che vietano la tortura durante gli interrogatori dei detenuti”.

Il sentiero della tortura era stato già ben lastricato al tempo in cui, nel luglio 2002, Gonzales e i suoi colleghi si riunirono in un ufficio della Casa Bianca per prendere in considerazione le tecniche di tortura della CIA e per trovare loro un fondamento di “legalità”. A quel tempo Gonzales aveva già creato un’intera nuova categoria, il “combattente nemico”, ideata per scavalcare le Convenzioni di Ginevra e aveva gettato le fondamenta “legali” per prendere questi combattenti fuori categoria e metterli dentro Guantanamo, dove le convenzioni di ogni sorta potevano essere adeguatamente ignorate. Quel luglio, secondo Isikoff, la sua preoccupazione principale era: “ ‘Ci stiamo portando avanti abbastanza su questo?’ … ‘Portarsi avanti’ è diventato un ritornello per l’approccio offensivo dell’amministrazione alla guerra al terrorismo."

In breve, ecco come Pfaff pone la questione :
"Proposte per autorizzare le torture circolavano molto prima che ci fosse qualcuno da torturare. Già alcuni giorni dopo gli attacchi dell’11 settembre l’amministrazione rese noto che gli Stati Uniti non erano più legati a trattati internazionali o alle legge americana e che aveva stabilito degli standard militari statunitensi, riguardo alle torture e al trattamento dei prigionieri. Alla fine del 2001 il Dipartimento di Giustizia ha abbozzato una nota interna su come proteggere gli ufficiali militari e quelli dei servizi segreti da un’eventuale persecuzione da parte della legge americana per il trattamento dei prigionieri afgani e degli altri. E’ difficile evitare la conclusione che l’amministrazione Bush non stia torturando i prigionieri perché è utile, ma per il suo simbolismo. Originariamente questa doveva essere una forma di ciò che in seguito, con l’attacco all’Iraq, sarebbe stato chiamati ‘shock e terrore’. Doveva essere un’intimidazione. Faremo queste cose terribili per dimostrare che niente ci fermerà dal conquistare i nostri nemici. Siamo indifferenti all’opinione del mondo. Non ci fermeremo davanti a niente."

Ottenere informazioni è stata una faccenda sempre secondaria ai livelli più alti rispetto alla libertà del Presidente da tutte le costrizioni. In qualità di confidente del presidente, Gonzales è stato certamente in stretto contatto con gli alti ufficiali dell’amministrazione, incluso evidentemente l’ufficio del vicepresidente, riguardo all'eliminazione delle restrizioni legali alla tortura. Ma dopotutto Gonzales è solo un avvocato.

Già allora gli alti ufficiali avevano dimostrato il loro “entusiasmo” per l’argomento, il loro desiderio di essere coinvolti. Prendiamo Donald Rumsfeld. Come ha scritto Richard Serrano del Los Angeles Times: “Dopo che la recluta talebana americana John Walker Lindh venne catturata in Afghanistan, l’ufficio del Segretario alla Difesa Donald H. Rumsfeld diede istruzioni agli ufficiali del servizio segreto militare di ‘togliersi i guanti’ per interrogarlo… Nelle prime fasi i nuovi documenti mostrano che le sue risposte venivano trasmesse a Washington ogni ora … Cosa accadde a Lindh, che è stato spogliato e umiliato dai suoi secondini, anticipa il tipo di abuso documentato dalle fotografie dei soldati americani che tormentano i prigionieri iracheni ad Abu Ghraib.”

Questo nel 2001. Nel dicembre 2002 Rumsfeld ha personalmente approvato una lista di “tecniche di interrogatorio” estreme per Guantanamo fino all’uso di cani per intimorire i prigionieri.

E’ una storia macabra e una delle figure principali che l’ha resa reale riceverà nei prossimi giorni una promozione dai senatori democratici. Immaginatevelo. Alberto Gonzales, l’avvocato che ha sponsorizzato un regime di torture per il suo presidente, diventerà presto Ministro della Giustizia. Forse è adatto. Allora il Dipartimento di Giustizia può entrare nello stesso mondo di nomi contorti come Camp Justice, salvato dall’impatto a sorpresa dello tsunami da un avvertimento speciale del Pentagono. Se ci pensate, stiamo ancora vivendo sulle rovine del World Trade Center.

Tom Engelhardt, che dirige il Nation Institute's Tomdispatch.com ("un antidoto regolare ai media mainstream"),è co-fondatore dell’American Empire Project e autore di The End of Victory Culture, una storia romanzata del collasso del trionfalismo americano nell’era della Guerra Fredda.
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* Il Teatro Grand-Guignol ebbe in Francia un grande successo di pubblico, attraverso fasi imperniate sui temi della follia, dell'erotismo sadico e masochistico, della crudeltà fisica e mentale. Ne nacque un genere che fu ripreso ed esasperato dal mondo del cinema. Il termine è ancor oggi usato per indicare una rappresentazione dai caratteri sanguinolenti e torbidi

Fonte: http://www.tomdispatch.com/index.mhtml?pid=2102
Traduzione di Valeria D'Angelo per Nuovi Mondi Media