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Il concetto di tempo. Linee di una evoluzione storica e concettuale.
La questione del tempo tra filosofia e scienze
di Luigi Ruggiu

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La lezione assume come prospettiva di lettura la concezione del tempo che la filosofia e le scienze hanno effettuato nel corso della storia occidentale del concetto.
L’evidenza che il tempo riveste nell’esperienza comune costituisce il punto di partenza dell’analisi filosofica. Tuttavia non appena si passa alla traduzione concettuale di quella realtà che pure appare essere punto di riferimento centrale nella costruzione della nostra esperienza e insieme del senso della nostra esistenza, immediatamente emerge la difficoltà di tradurre in concetti il nostro vissuto temporale.
È l’imbarazzo che mostra Agostino: “Eppure vi è una nozione più familiare e nota, nei nostri discorsi, del tempo? [...] Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”.
Ma questo imbarazzo traduce in realtà una condizione aporetica del tempo, come bene aveva chiarito Aristotele: il tempo si pone come qualcosa che è distinguibile in parti e quindi divisibile: presente, passato e futuro. Ma queste parti del tempo, che costituiscono l’orizzonte della nostra vita, quando vengono analizzate, diventano prima inafferrabili per poi quasi dissolversi: passato e futuro infatti sembrano appartenere piuttosto al nulla che all’essere, sono varianti per così dire del nulla: giacché l’uno non è più l’altro non è ancora. E tuttavia l’uno costituisce il distendersi e l’accumularsi nella
nostra memoria dell’esperienza del nostro trascorrere cioè vivere, l’altro si pone come l’apertura dell’orizzonte del nostro agire, cioè del nostra rapportarci al mondo secondo i nostri bisogni, paure e speranze. Lo stesso presente, nella sua riduzione al puro punto senza estensione, mostra di non poter avere nessun carattere di permanenza e di stabilità come pure sembra richiedere la nostra ingenua concezione del presente.

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