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Il tempo in Bergson e Agostino di Flavia Silli

Ripercorrendo la storia del pensiero, è sorprendente notare quanto, a distanza di secoli e in contesti culturali diversissimi, si siano sviluppate considerazioni ed elaborazioni concettuali analoghe; ancora più interessante risulta l'analisi dei percorsi e delle metodologie di indagine che hanno condotto, pur nella loro reciproca estraneità, ad esiti molto simili. È proprio ciò che accade tra Sant'Agostino, vissuto a cavallo tra quarto e quinto secolo, ed Henri Bergson, protagonista, quasi 1500 anni dopo, dei nuovi fermenti della filosofia europea.
Per delineare più chiaramente la temperie culturale da cui proviene il filosofo parigino, che è senza dubbio una delle figure di maggior spicco della cultura francese tra i due secoli, è importante precisare che negli ultimi due decenni del diciannovesimo secolo, il pensiero francese è all'avanguardia, soprattutto con Guyau e Fouillée, nel promuovere una tendenza a sottolineare il carattere dinamico, spontaneo, produttivo della vita della coscienza. Alla luce di questi fatti, è emblematico che il "Saggio sui dati immediati della coscienza", tesi di dottorato pubblicata da Bergson nel 1889, abbia ottenuto immediatamente un notevole successo.
Adriano Pessina, nella sua biografia, lo riconduce alla sua singolare capacità di sostenere un serrato confronto con la psicologia sperimentale dell'epoca.
Il titolo dell'opera, è estremamente significativo in quanto esprime ciò che l'autore rivelerà nel corso del Saggio e cioè che "l'immediato", non è, secondo l'uso più comune, il dato empirico, né il dato della scienza psicologica, ma piuttosto ciò che si presenta alla coscienza, quando si è emancipati dalle mediazioni intellettuali che ne condizionano il responso: è la durata, che si raggiunge appunto solo come dato immediato.
Negli anni della gioventù, Bergson si entusiasmò per la teoria evoluzionistica di Spencer; e, come confesserà più tardi, egli allora non voleva far altro che perfezionare e consolidare i "Primi Principi" di Spencer, soprattutto per quanto concerneva la meccanica. In una lettera a Giovanni Papini del 1903 leggiamo: "La metafisica ed anche la psicologia mi attraevano molto meno delle ricerche relative alla teoria delle scienze, soprattutto alla teoria delle matematiche. Mi ero proposto, per la mia tesi di dottorato, di studiare i concetti fondamentali della meccanica.....; mi accorsi, non senza sorpresa, che in meccanica e in fisica non si tratta mai della durata propriamente detta, e che il "tempo" di cui si parla è tutt'altra cosa. Mi chiesi allora dove fosse la durata reale, e in che cosa potesse consistere, e perché la nostra matematica non avesse presa su di essa. È così che fui gradualmente condotto dal punto di vista matematico e meccanicistico, in cui mi ero dapprima posto, al punto di vista psicologico. Da queste riflessioni è nato il Saggio sui dati immediati della coscienza, in cui ho cercato di praticare un' introspezione assolutamente diretta e di cogliere la pura durata". Impegnato in una delle tante questioni scientifiche che animavano la cultura del tempo, Bergson fu sorpreso nel constatare che il Positivismo non mantenesse affatto la promessa della fedeltà ai fatti, come appariva, per esempio, dalla trattazione del problema del tempo: alla meccanica sfuggiva il tempo dell'esperienza concreta.
Non è casuale la mancanza di un esplicito riferimento di Bergson ad Agostino, in quanto, come possiamo immaginare da questa concisa genealogia dell'opera, i percorsi di ricerca intrapresi dall'autore delle "Confessioni", risultano anacronistici rispetto alle urgenze e agli interrogativi sorti nella seconda metà del diciannovesimo secolo, scaturiti soprattutto da un confronto con le nuove frontiere della scienza e con le inquietudini che l'euforia positivista non era riuscita a placare.
Per chiarire la sostanziale diversità di orizzonti culturali, criteri di ricerca e intenti perseguiti rispettivamente dai due pensatori, occorre ricordare che mentre l'elaborazione del pensiero di Agostino è integralmente finalizzata a spezzare le ultime, accanite resistenze dei pagani, la filosofia di Bergson è improntata all'apologia della creatività e irriducibilità della coscienza o spirito, contro ogni tentativo riduzionistico di stampo positivistico. La base comune è rappresentata dalla "serietà" e incisività del metodo adottato: come infatti, il carisma proselitistico di Agostino è riconducibile alla sua approfondita conoscenza delle dottrine avversarie —nessuno meglio di lui poteva comprendere la tentazione al Manicheismo— così anche Bergson sperimenta, nella sua giovinezza, l'entusiasmo e la fiducia nelle spiegazioni offerte dalla scienza e si avvale dunque di strumenti adeguati per demolire i fondamenti pseudo-empirici delle teorie psicofisiche a lui contemporanee. Le armi con cui combattere una riduttiva interpretazione dell'esperienza, Bergson non le cerca nell'irrazionalismo o in una forma astratta di spiritualismo: al contrario, la difesa della coscienza e della sua attività acquista credibilità, proprio perché egli si appropria dei risultati della scienza e, soprattutto, non minimizza affatto, la presenza del corpo e l'esistenza dell'universo materiale. Leggiamo in un passo dell' "Evoluzione Creatrice": "Il grosso errore delle dottrine spiritualiste, è stato quello di credere che, con l'isolare la vita spirituale da tutto il resto, col sospenderla il più alto possibile sopra la terra, la ponessero con ciò al riparo da ogni attentato; senonché, con operazioni siffatte, gli Spiritualisti esposero la vita spirituale ad essere scambiata per l'effetto di un miraggio".
Agostino, che nelle Confessioni delinea una autobiografia che è innanzitutto "storia spirituale", cammino tortuoso verso una Verità che si rivela per gradi, mostra di conoscere bene lo stato d'animo di chi è lontano o addirittura avverso al Cristianesimo e sa che, proprio nella confessione di questa esperienza, risiede tutta la forza della sua testimonianza di conversione. Entrambi, pertanto, si esprimono nei loro rispettivi ambiti con "cognizione di causa", avvalendosi di mezzi argomentativi che hanno appreso e interiorizzato e che sono frutto dell'esperienza "vissuta".
Sebbene dunque per strade diverse, con obiettivi divergenti e animati da moventi filosofici distinti, Agostino e Bergson giungono entrambi ad una lettura del tempo in chiave psicologica, a considerare il tempo come durata per e nella coscienza. Analizzeremo ora in dettaglio il loro percorso di ricerca e le riflessioni che lo accompagnano, focalizzandone gli aspetti più significativi e mettendo in luce di volta in volta affinità e differenze tra i due filosofi.
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La meditazione sul tempo di Agostino si sviluppa nel corso del libro undicesimo delle Confessioni, incentrato sul tema della creazione, e che inizia con un commento al primo capitolo della Genesi: ed è proprio dall'insidiosa domanda dei Manichei su cosa facesse Dio prima di procedere alla creazione, che scaturisce la riflessione agostiniana sul tempo. La sua risposta è decisa e decisiva: "Prima di creare il cielo e la terra, Iddio non faceva nulla." Si legge nel capitolo successivo: "Se poi, prima del cielo e della terra il tempo non esisteva, a qual titolo si domanda che cosa facevi allora? Non esistendo il tempo, non esisteva nemmeno un "allora".....;e ancora: gli anni tuoi sono un giorno solo, e il tuo giorno non è l'ogni giorno ma l'oggi, perché il tuo oggi non si annulla nel domani, come non succede ad un ieri. Il tuo oggi è l'eternità.....;Tu hai creato tutti i tempi e tutti li precedi: non si può parlare di tempo quando il tempo non esisteva." Dunque Agostino ha risolto l'annoso interrogativo, facendo del tempo, sulle tracce di Gregorio di Nissa, una realtà non preesistente alla creazione, ma nata con essa. È importante sottolineare la compresenza di due piani di interpretazione del problema del tempo, che peraltro risultano inscindibili: l'uno metafisico o onto-teologico, l'altro più propriamente psicologico. Tale prospettiva, che prefigura il teocentrismo tipico della filosofia medioevale, determina, da un lato, una frattura insanabile tra finito e infinito, tra temporalità umana ed eternità divina, dall'altro, fa sì che non si possa comprendere la dimensione psicologica e introspettiva senza quella metafisica. Soffermarsi su tale aspetto significa riconoscere che la distanza che separa Agostino da Bergson, non è soltanto cronologica, ma anche e soprattutto di approccio: la visione bergsoniana del tempo risulta emancipata da postulati teologici e l'analisi si dispiega in un orizzonte esclusivamente "umanistico"; questa distinzione, che alla fine del diciannovesimo secolo appare consolidata da almeno cinquecento anni di autonomia della filosofia dalla teologia, è chiaramente inconcepibile da chi, come Agostino, non ammetteva uno "spirito laico di ricerca", ma intendeva ricomporre il dualismo onnipotenza-libero arbitrio, coniando una nuova definizione di "libertà in Dio". Il suo motto è: "Dio solo è la nostra possibilità". Nel capitolo che segue, Agostino si domanda: "Che cos'è il tempo? Chi potrebbe darne una breve e facile definizione?.....;eppure vi è nozione più familiare, più nota, nel parlare comune? Quando ne parliamo, sappiamo che cosa intendiamo, e lo sappiamo anche quando ne sentiamo parlare gli altri. Allora che cos'è? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so: eppure posso affermare con sicurezza di sapere che se nulla passasse, non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un futuro: se nulla esistesse, non vi sarebbe un presente". Se confrontiamo questa riflessione con un passo del "Saggio sui dati immediati della coscienza", ci risulterà evidente la comune consapevolezza di una problematicità nell'esprimere la realtà del tempo: "La parola dai contorni ben definiti, la parola brutale, che immagazzina tutto ciò che c'è di stabile, di comune e quindi di impersonale nelle impressioni dell'umanità, annulla o per lo meno ricopre le impressioni delicate e fuggitive della nostra coscienza individuale.....;". Questo passo, quanto mai incisivo, esplicita la piena coscienza del condizionamento che l'epistemologia del tempo esercitava sul linguaggio filosofico, a cui Bergson reagisce formulando e usando il concetto di durata, che richiama quello di "corrente di pensiero", coniato da William James. In tal modo egli dimostra l'inadeguatezza delle terminologie correnti e tradizionali nell'esprimere le peculiarità del vissuto. Bergson ritiene soprattutto che l'uniformità pedissequa del linguaggio psicologico a quello quantitativo della fisica, determini l'offuscamento degli aspetti più originali dell'esperienza psichica.
Anche Agostino, mostra l'ineffabilità della dimensione temporale adottando moduli espressivi caratteristici della filosofia delle Confessioni: ricorrendo cioè a preghiere e invocazioni a Dio affinché lo illumini in una ricerca che si annuncia lunga e faticosa.
Entriamo a questo punto nel vivo della concezione agostiniana del tempo: si è soliti identificare il tempo con una scansione di passato, presente e futuro, ma compiendo un ulteriore approfondimento, si scopre che la cosa è più complessa e soprattutto che il tempo non è una realtà permanente: il passato non è più e il futuro non è ancora; sola realtà è dunque il presente, che però, di volta in volta, è quell'istante che un istante prima non era ancora e che un istante dopo non è più: Agostino, nel capitolo diciottesimo ribadisce: "Se futuro e passato esistono, vorrei sapere dove hanno sede.....;so che, dovunque essi siano, non vi sono come futuro e passato, ma come presente.....;dovunque siano, comunque siano non vi sono che in forma di presente". Nonostante questa fuggevolezza del tempo noi, però, riusciamo a misurarlo e parliamo di un tempo breve o lungo: questo instabile dileguarsi del tempo, cioè, ha valore solo da un punto di vista esteriore, empirico, in quanto, ritornando in noi stessi, nell'interiorità dell'anima, la realtà del tempo si rivela. È opportuno rilevare l'analogia con Bergson, che pur riconoscendo l'esistenza di un cambiamento nella realtà esterna, sostiene che esso assume un senso, soltanto per una coscienza che percepisca la successione dei momenti e se li ricordi: non si deve dunque affermare che le cose esteriori durano, ma piuttosto che c'è in esse un'inesprimibile ragione in virtù della quale noi non potremmo considerarle in momenti successivi della nostra durata, senza constatare che sono cambiate. Al di fuori della coscienza, esiste solo il presente, o se si preferisce, la simultaneità; interiormente, invece, percepiamo una successione di molteplici stati di coscienza indistinguibili, che si compenetrano.
Tornando alla dichiarazione agostiniana secondo la quale è nell'anima che si effettua la misura, occorre però richiamare l'attenzione su un duplice livello interpretativo della dimensione temporale: uno esteriore e irreale e uno interiore e concreto; è qui infatti che si gioca il confronto con Bergson, qui risalta la sfumatura più intensa attribuita da quest'ultimo allo iato tra spazio e tempo.
L'esordio del capitolo ventesimo dell'undicesimo libro delle Confessioni suona così: "Risulta dunque chiaro che futuro e passato non esistono, e che impropriamente si dice: tre sono i tempi: il passato, il presente e il futuro. Più esatto, sarebbe dire: tre sono i tempi: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Queste ultime tre forme esistono nell'anima, né vedo possibilità altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l'intuizione diretta, il presente del futuro è l'attesa". Il punto di contatto più esplicito con la filosofia di Bergson, è proprio racchiuso in questa individuazione della realtà temporale in una "Distensio animae" nel distendersi della vita interiore dell'uomo attraverso la percezione attuale (contuitus), la memoria e l'attesa, nella continuità intima della coscienza, che conserva dentro di sé il passato e si protende verso il futuro.
Guido Mancini, in un interessante saggio sulla psicologia di sant'Agostino, mette in luce il rapporto di discendenza - pur con le dovute distinzioni - che lega Agostino a Plotino. L'autore delle "Enneadi", definiva il tempo come "ζωη ψυκης", come vita dell'anima, nel movimento per cui essa passa da un atto all'altro. Lo stesso Agostino, sulla scia di questa definizione, riconduce il tempo allo scorrere della vita propria dell'anima, che implica continuità d'azione. Leggiamo nel dodicesimo libro del "De civitate Dei": "Tolta di mezzo la vita che l'anima possiede, e che si esprime nell'azione, generazione e produzione, e restituita l'anima al suo mondo intelligibile eterno, quale posto vi sarà più per la successione se tutte le cose sono immobili nell'unità?". Agostino, rilevando ancora una volta il rapporto problematico tra eternità e temporalità, sostiene che il tempo non sarebbe più, se l'anima si rifugiasse nel mondo intelligibile, cessando di agire, poiché è proprio il principio di movimento dell'anima verso le cose sensibili, che produce il tempo. Risalta nuovamente la complessa relazione tra finito e Infinito in quanto, se da un lato l'anima è "Le principe du temps", come dice il Bouillet, che si caratterizza come attributo specifico della creatura umana, dall'altro non si può comprendere l'eternità come intrinseca all'essere, se non la si identifica con lo stesso pensiero che è intuizione immanente o, per dirla con termine agostiniano, "contuitus". Il prima e il poi, sono il risultato dell'astrazione, dato che il passato e l'avvenire si devono legare insieme col mezzo del presente, concentrandoli in esso; e il presente, arricchito del passato, e del continuo, cessa di essere un modo del tempo, e diventa appunto il continuo. L'unica, autentica realtà è "l'eterno presente", che nell'Eternità ha la sua radice: questa interpretazione rappresenta il punto di svolta per un'adeguata comprensione del concetto-limite di infinito, che ha bisogno, come dice il Gioberti, di unire e immedesimare insieme i tre modi del tempo, passato, presente e futuro, e quindi di distruggere i loro mutui limiti.
Anche Bergson nel "Saggio sui dati immediati della coscienza", che rappresenta il suo esordio intellettuale, esaminando la nozione di movimento, giunge a configurarla come atto psichico, come una forma della durata, indivisa e indivisibile. Questa interpretazione, approfondita e rielaborata in "Materia e memoria", costituisce la base argomentativa per una confutazione delle celebri aporie di Zenone di Elea: la rappresentazione spaziale del movimento, che secondo Bergson determina l'errore del filosofo greco, si configura come un'astrazione che implica l'annullamento della dimensione qualitativa, processuale della temporalità autentica, che si concentra proprio nell'atto del mutare. All'indagine scientifica sfugge questa continuità scorrente che è l'essenza stessa del movimento. Secondo Bergson è impossibile frammentarlo, spezzarne la continuità: la definizione ultima, contenuta nel Saggio, è quella di movimento come pura realtà psichica, che si esplica nell'attività della coscienza. Sarà in "Materia e memoria", che Bergson svolgerà una considerazione sul movimento a più livelli: esso infatti non sarà qualificato solo in riferimento all'interiorità, ma anche come mutamento "fisico" di stato. D'altra parte, occorre precisare che la stretta correlazione che Bergson istituisce tra tempo reale, o durata, e movimento della e nella coscienza, in Agostino presenta una diversa caratterizzazione: il tempo infatti è sì, continuità d'azione e dunque movimento interno, ma esiste anche un movimento estrinseco che si dispiega nel tempo. Mancini, nel suo commento, segue l'excursus filosofico di Agostino verso una determinazione del tempo, e si imbatte in una lunga serie di obiezioni all'identificazione di tempo e movimento fisico. Plotino e Agostino convengono nel rifiutare l'interpretazione stoica che promuove questa discutibile identificazione: il movimento infatti è nel tempo, e può arrestarsi e cessare, mentre il tempo non può sospendere il suo corso. Nel capitolo ventitreesimo dell'undicesimo libro delle Confessioni, Agostino si sofferma a valutare criticamente l'associazione di tempo e moto degli astri, dicendo: "Io voglio conoscere l'essenza, la natura del tempo che ci permette di misurare il moto dei corpi, per cui affermiamo per esempio, che un moto dura il doppio di un altro.....;" e ancora: "Non si venga dunque a dire che il tempo è il movimento dei corpi celesti. Del resto anche quando, per la preghiera di un uomo, il sole si fermò per dargli modo di condurre il combattimento alla vittoria, il sole era fermo, ma il tempo camminava.....;un corpo non si muove se non nel tempo. Quando un corpo si muove, io posso misurare nel tempo tutta la durata del movimento, dal principio alla fine del moto.....;se il corpo ora sta fermo, noi misuriamo ancora per mezzo del tempo, il periodo di stasi, e diciamo: la stasi è durata quanto il moto, oppure: è stato fermo un tempo doppio o triplo del tempo del moto.....;".
Il tempo, quindi, è qualcosa di diverso e di anteriore alla misura del movimento. È proprio in virtù di queste considerazioni che Agostino approda all'elaborazione della dottrina psicologica del tempo, ricercando cioè la sua natura, lì dove essa si manifesta e si misura: nell'interiorità dell'uomo. Questo esito concettuale rappresenta il maggior punto di contatto con la riflessione bergsoniana sul tempo, dove la durata coincide con l'io che vive il presente con la memoria del passato e l'anticipazione del futuro; fuori della coscienza il passato non è più e il futuro ancora non è. Essi possono vivere soltanto in una coscienza che li salda nel presente: per questa ragione è vano, per la coscienza e per la vita, andare alla ricerca del tempo perduto: l'oggi è diverso da ieri, l'istante successivo cresce sempre sull'esperienza dell'istante precedente e di tutto il passato e quindi si presenta come irriducibile ed autentica novità. Il tempo concreto è durata vissuta, irreversibile e nuova in ogni istante: "Il nostro passato ci segue e s'ingrossa senza posa col presente che raccoglie lungo la strada". Possiamo però tracciare una netta linea di demarcazione tra la concezione del rapporto spazio-tempo che caratterizza il pensiero agostiniano e quella presente nel saggio di Bergson: non bisogna infatti dimenticare che la stessa espressione "misurabilità del tempo" usata da Agostino, presuppone una valutazione in termini quantitativi della dimensione temporale, inaccettabile per Bergson che incessantemente ribadisce il dualismo spazio-tempo; l'uso di termini come doppio o triplo, che abbiamo tratto dal passo delle Confessioni citato precedentemente, evidenzia l'equivoco riconoscimento di una molteplicità numerica, là dove la durata pura si configura come molteplicità qualitativa, irriducibile al numero: le variazioni della coscienza, che la psicofisica tratta come variazioni quantitative o di grado, rappresentano in realtà delle trasformazioni qualitative, dispiegantisi nella compenetrazione di sensazioni, idee e pensieri, che formano l'io stesso.
Deleuze, in un saggio intitolato "Le Bergsonisme", spiega molto bene cosa intenda, il filosofo francese, per molteplicità qualitativa o continua: "Sarebbe un grave errore credere che la durata sia semplicemente l'indivisibile, anche se spesso Bergson, per comodità, si esprime in questi termini. In realtà la durata si divide e non smette mai di farlo: per questo essa è una molteplicità, ma dividendosi essa cambia natura: perciò è una molteplicità non numerica, per cui a ogni stadio della divisione si può parlare di "indivisibili".....;una molteplicità non numerica, che definisce la durata o la soggettività, apre un'altra dimensione, puramente temporale e non più spaziale."
Non sfuggirà ad uno sguardo attento la relazione tra durata e soggettività che Deleuze definisce come sinonimi. Effettivamente Bergson ravvisa una ragguardevole corrispondenza tra spazialità e oggettività e tra temporalità e soggettività; più semplicemente, ciò che è esteso, quantificabile e divisibile per differenze di grado, risulta oggettivo, mentre la durata pura o eterogeneità, che è contraddistinta da una successione di cambiamenti qualitativi che si fondono e si penetrano senza contorni precisi, coincide con la soggettività: "La durata è sintesi mentale, e non una cosa, un oggetto.....;". Alla medesima interpretazione soggettivistica della temporalità nella coscienza giunge Agostino che, partito alla ricerca della realtà oggettiva del tempo, arriva inaspettatamente a conferire al soggetto una polarità e centralità rispetto all'oggetto, anticipando così prospettive filosofiche moderne, un'autentica eccezione per i suoi tempi.
Soffermandoci sul commento di Deleuze, è interessante notare come il termine molteplicità, che non fa assolutamente parte del vocabolario tradizionale, soprattutto quando si vuole designare un "continuo", assuma in Bergson un significato innovativo e pregnante.
L'approccio di Bergson verso la scissione spazio-tempo è contrassegnato dalla convinzione che il dato empirico, ovvero ciò che si manifesta nell'esperienza, sia sempre un misto di spazio e durata. La durata pura ci presenta una successione soltanto interna, priva di esteriorità, lo spazio invece, un'esteriorità senza successione. Tra queste due si forma una mescolanza: la conseguenza inevitabile di questo procedimento è l'introduzione, all'interno della durata, di distinzioni estrinseche, la sua scomposizione in parti esteriori e l'allineamento in una specie di tempo omogeneo. Un misto di questo tipo deve essere diviso in due direzioni, delle quali, però, una sola è veramente pura (la durata), mentre l'altra (lo spazio) rappresenta l'impurità che snatura la prima. Lo spazio, frutto spontaneo dell'attività intellettiva, svolge la funzione di permettere l'analisi e la distinzione. Pensare in termini concettuali significa distinguere, e non esiste distinzione senza spazialità. Tale connotazione della conoscenza intellettiva spiega, tra l'altro, perché il linguaggio concettuale fatichi ad esprimere gli aspetti qualitativi e mutevoli della vita soggettiva: il tempo di cui parla la scienza è una costruzione dell'intelligenza e, come tale, implica una dimensione spaziale. In sintesi, la vita della coscienza trascende le categorie dell'intelletto. A più riprese Bergson parla di "un fantasma dello spazio che ossessiona la coscienza riflessa", responsabile della determinazione del processo di esteriorizzazione delle percezioni, in particolare di quelle temporali, a cui comunque è attribuita la funzione della comunicazione e socialità. In effetti, una vita interiore dai momenti ben distinti e dagli stati nettamente caratterizzati risponderà meglio alle esigenze della vita sociale. Ciò non toglie che l'idea di una durata interna omogenea, analoga allo spazio, i cui momenti identici si susseguirebbero senza compenetrarsi, sia erronea. La confusione tra spazio e durata altera nella loro stessa origine le nostre rappresentazioni del cambiamento esterno e di quello interno, del movimento e della libertà.
Abbiamo potuto constatare l'esistenza di un vero e proprio spartiacque tra la visione bergsoniana della relazione spazio-temporale, e quella più indistinta e sfumata di Agostino, che, nelle Confessioni, non ne approfondisce la separazione.
La realtà dunque, per Bergson, presenta aspetti diversi, che volendo rimanere fedeli all'esperienza, presuppongono l'uso di un metodo specifico: valore paradigmatico in questo senso assume il vissuto umano - la durata - che, come affermato precedentemente, si esprime non attraverso un atto intellettivo, e quindi spazializzante, ma piuttosto grazie a un' intuizione. Deleuze ravvisa in essa il metodo del bergsonismo; non è un dato trascurabile l'elaborazione, da parte di Bergson di un vero e proprio metodo provvisto di regole rigorose che costituiscono quella che egli chiama "la precisione" in filosofia. Nuovamente si avvalora l'interpretazione di un Bergson "figlio della scienza" o per lo meno non estraneo alle problematiche aperte da essa. È quanto mai evidente che, riguardo a questo aspetto della sua riflessione, la distanza da Agostino e dallo stile del suo filosofare sia notevole: Etienne Gilson, in un acuto commento sull'unicità della filosofia cristiana medioevale, dice: "Il punto dove più completamente i pensatori di quest'epoca differiscono da noi, è la loro ignoranza pressoché totale di ciò che possono essere le scienze della natura. Molti celebrano la natura, ma nessuno pensa di osservarla.....;per loro, conoscere e spiegare una cosa consiste sempre nel mostrare che essa non è ciò che appare, che essa cioè è il simbolo e il segno di una realtà più profonda che viene annunciata.....;la realtà è dunque, in quest'epoca, direttamente sentita e pensata come religiosa.....;". È facile riscontrare questa lontananza, confrontando i sistemi d'indagine adottati rispettivamente da Agostino e Bergson: se infatti per quest'ultimo, il mondo immediatamente dato è quello della scienza, sebbene il suo intento sia proprio quello di smascherare certe sue semplicistiche spiegazioni e di ridimensionare l'enfasi positivistica, nell'universo agostiniano la fede assume un ruolo totalizzante e la Parola, rivelata attraverso le Scritture, assurge ad unica possibile chiave di lettura dell'intera realtà. Per questo motivo in Agostino il metodo d'indagine coincide con la ricerca di un'assoluta conformità con la Verità rivelata: risulta dunque piuttosto opinabile riferire la nozione di metodo allo stile del suo filosofare.
In un'esposizione del pensiero di Bergson invece, la descrizione del metodo assume un'importanza primaria. L'elaborazione di un criterio di verifica scrupoloso attinge la sua ragion d'essere nella constatazione che, se la nozione di durata designa per se stessa un'esperienza vissuta, d'altra parte essa non ci fornisce ancora la possibilità di conoscerla con un rigore analogo a quello della scienza. La durata, cioè, rimarrebbe solo intuitiva —nel senso comune del termine— se non esistesse l'intuizione come metodo —nel senso propriamente bergsoniano—. Il pensatore francese infatti contava su di esso per elevare la filosofia alla stessa dignità e credibilità assegnata fino ad allora esclusivamente alla scienza: la filosofia, nel suo campo specifico, rivendicava a pieno titolo di essere considerata una disciplina "seria", estendibile e trasmissibile come la scienza. Nella prospettiva di Bergson l'intuizione rappresenta un metodo problematizzante, differenziante e temporalizzante (suggerisce di pensare in termini di durata): ci induce a trascendere lo stadio dell'esperienza, per approdare all'analisi delle condizioni dell'esperienza reale. Si potrebbe stabilire una corrispondenza tra l'intuizione bergsoniana e il metodo di divisione d'ispirazione platonica. I dualismi presenti nel Saggio acquistano un senso proprio grazie all'applicazione di questo criterio di distinzione: i "misti" che l'esperienza ci offre vanno divisi secondo le rispettive articolazioni naturali, in elementi, cioè, che differiscono tra loro in natura. A questo proposito risulta emblematico il caso del tempo, che noi ci rappresentiamo come se fosse penetrato dallo spazio: l'aspetto più grave di questa arbitraria commistione è che all'interno di questa rappresentazione non sappiamo più distinguere i due elementi che differiscono in natura, ossia le due presenze pure della durata e dell'estensione. L'intuizione ci svela questa interpretazione deviata, mostrandoci che là dove non vediamo che differenze di grado, vi sono in realtà differenze di natura, come accade nella valutazione dell'intensità.
Vorrei soffermarmi su un'ulteriore considerazione relativa al confronto tra i due pensatori finora esaminati: Nicola Abbagnano conclude l'analisi del problema del tempo in Agostino con queste parole: "Ancora una volta, il ripiegarsi della coscienza su se stessa appare come la risposta risolutiva ad una questione fondamentale". Senza dubbio l'invito di Socrate a conoscere se stessi, in Agostino diventa sorgente e sbocco del suo pensiero: per lui scavare nell'interiorità dell'uomo significa attingere a qualcosa di più profondo dell'uomo stesso, all'Infinito, vuol dire intraprendere un cammino inesauribile verso la conoscenza. Il centro della sua speculazione coincide veramente col centro della sua personalità: persino i più astratti concetti teologici, con lui si arricchiscono di un calore e significato umano che prima non avevano, divengono elementi di vita interiore per l'uomo giacché tali sono per lui, per Agostino. Egli riesce a saldarli ai suoi dubbi, al suo bisogno di amore e di felicità. Dopo 1600 anni, ancora si rimane sorpresi dalla genialità di Agostino nel tracciare un'analisi psicologica, dalla sua eccezionale capacità di schiudere la dimensione trascendente, non attraverso un arido sistema, ma grazie all'introspezione (basti pensare all'analogia tra la natura di Dio e la natura umana nel "De Trinitate").
Bergson, da parte sua, esprime tutta la profondità del suo pensiero, nella rilevanza che attribuisce alla consapevolezza della vita interiore: "Così ci sarebbero due io differenti, uno dei quali sarebbe come la proiezione esterna dell'altro, la sua rappresentazione spaziale e, per così dire, sociale. Perveniamo a quello autentico, attraverso una riflessione approfondita, che ci fa cogliere i nostri stati interni come esseri viventi, continuamente in via di formazione, come stati refrattari alla misura, che si compenetrano gli uni con gli altri, e la cui successione nella durata non ha nulla in comune con una giustapposizione nello spazio omogeneo. Ma i momenti in cui ci cogliamo in questo modo sono rari, e perciò noi raramente siamo liberi. La maggior parte del tempo viviamo esteriormente a noi stessi e percepiamo soltanto il fantasma scolorito del nostro io.....;viviamo per il mondo esterno piuttosto che per noi; parliamo piuttosto che pensare.....;Agire liberamente significa riprendere possesso di sé, ricollocarsi di nuovo nella pura durata". Questa splendida apologia della libertà che conclude il Saggio sui dati immediati della coscienza, richiama potentemente l'uomo a non smarrire il senso della sua dignità dietro rigide schematizzazioni, a non ingabbiare la sua interiorità creativa e irriducibile con l'uso scriteriato di categorie intellettuali, ma soprattutto suggerisce, in sintonia con Agostino, di interiorizzare la ricerca filosofica, una ricerca che impegna non solo l'intelletto dell'uomo, ma l'intera vita della coscienza.