Antologia

“Dalla Palestina”

tratto dal PNS AGESCI n°14

"Non c'è nulla di più integro che un cuore infranto"
Kotzker Rabbi

 

È molto difficile trovare le parole per buttare fuori le cose che stanno passando tra il cuore e la mente. Stasera il vento spinge la sabbia del deserto da tutte le parti, entrando negli occhi, nelle narici. Sembra fatto apposta per rappresentare simbolicamente lo stato d'animo di queste settimane: la fatica a tenere gli occhi ben aperti di fronte agli avvenimenti, il bruciore della sabbia come il dolore, una mancanza di ossigeno.

Ho provato a mettere in ordine quello che sto vedendo, cercando di non fare osservazioni né critiche, ma limitandomi a rendervi partecipi dei fatti, nel desiderio che ci sarà un tempo poi per confrontarsi e cercare di capire e tradurre gli avvenimenti.
Vi voglio parlare dei check point, posti di blocco sparsi non solo lungo i confini, ma sulle strade interne tra le città e i villaggi, che obbligano donne, uomini e bambini a fare ore di coda, sotto il sole, senza poter uscire dalle auto, o in piedi, per passare da un posto all'altro, e a volte li rimandano indietro, così non possono andare a lavorare e vengono licenziati, e le donne partoriscono in auto, e molti malati muoiono nell'ambulanza perché i soldati di guardia non permettono che passi per andare all'ospedale, anche se non c'è nessuna legge che regola queste decisioni.
Vi voglio parlare dei blocchi militari delle strade, che non lasciano passare i contadini verso i campi, e le olive marciscono sugli alberi, e l'unica forma di sostentamento di un villaggio, l'olio, resta lì senza che nessuno ci possa fare nulla.
Vi voglio parlare di chilometri di terre espropriate e sbancate dalle ruspe, migliaia di ulivi sradicati, gente ridotta improvvisamente alla fame, paesi isolati da un muro di cemento e filo spinato.
Vi voglio parlare di questo Muro, il Muro dell'Apartheid (ma che il Rapporto Speciale delle Nazioni Unite chiama Muro dell'Annessione, visto che sta mangiando illegalmente chilometri di terra, e non ha niente a che fare con questioni di sicurezza), che sta facendo di queste zone una prigione a cielo aperto, che quando ci passi vicino leva il fiato, dà un senso violento di oppressione.
Vi voglio parlare anche dei contadini che, persi per sempre i campi e i pozzi per irrigarli, e gli ulivi centenari (sradicati dalle ruspe e ripiantati all'interno degli insediamenti), si associano per comprare le api, che non possono essere fermate né dai soldati né dai check point: miele senza confini!
Vi voglio parlare degli uomini e donne sotto i 45 anni cui è vietato andare a pregare nella moschea di Gerusalemme il venerdì, e che si sono inginocchiati a pregare sul marciapiedi, davanti agli stessi soldati che un minuto prima non li avevano fatti passare, ma forse in Europa i giornali questa foto non l'hanno mostrata.
Vi voglio parlare di mogli e mariti, amici, morosi, rimasti separati in due parti del paese, e a cui la Legge dello Stato di Israele non permette di ricongiungersi.
Vorrei poteste vedere con i vostri occhi una mamma che chiude i propri figli in casa a chiave quando esce perché è pericoloso uscire, ci sono i soldati...
Vorrei poteste sentire quando dicono che la vita qui sta diventando impossibile, che l'unica cosa che resterebbe da fare sarebbe andarsene, emigrare, ma che non se ne andranno dalla loro terra, dalle loro case, preferiscono farsi uccidere qui che essere costretti a morire profughi in un altro paese, anche se ormai nemmeno averli chiusi dentro un muro, come una grande capponaia elettrificata, nemmeno questo è abbastanza...
Voglio pensare con speranza agli israeliani coraggiosi che vanno nei Territori Occupati per condividere le fatiche quotidiane e opporsi insieme ai palestinesi alla costruzione del muro, nonostante le grandi difficoltà che comporta esporsi. Uomini e donne, laici e religiosi, rabbini e avvocati, che rigettano la paura, coraggiosa celebrazione delle differenze tra persone nate ugualmente libere...
Spero non dovremo mai dover scegliere tra un taxi che non possiamo permetterci e un autobus, lo stesso che il giorno prima è saltato in aria. Spero davvero che non dovrò un mattino ringraziare Dio perchè sono uscita di casa in ritardo e l'ho perso, quell'autobus che è saltato in aria... Spero non dovremo mai sentire la frustrazione di non poterci spostare da un posto all'altro, di non poter vedere i nostri amici e famigliari, di non poter accettare un lavoro perché non sappiamo se al mattino ci permetteranno di arrivarci, di dover cambiare università o magari ritirarci del tutto perché ogni mattino ci fermano per ore al check point minacciando di spararci, di dover importare la verdura dall'estero perché quella prodotta qui viene rovesciata fuori dai camion ai posti di blocco.
Spero non dovremo mai vivere l'angoscia di trovarci i soldati in casa in piena notte, che ci buttano in strada, spaventano i nostri bambini, sfasciano i mobili e le cose, rovesciano le provviste, l'olio, perché cercano qualcuno, e tocca di chiedere a degli stranieri estranei di venire a dormire in casa così forse le violenze saranno meno brutali. Spero non dovremo passare mai l'umiliazione di essere schiacciati, inginocchiati, nella dignità, nell'economia, davanti ai nostri figli e genitori, e sapere che non si può rischiare di alzare la testa ma solo sperare che sia una giornata buona.
Mi è lo stesso davvero difficile, oggi, essere equidistante, o meglio equivicina, a tutte e due le parti. Non si tratta di angeli o diavoli, solo di esseri umani, uomini e donne come me a cui stanno togliendo tutto, compresa la libertà, che fanno una vita impossibile che erode le ultime forze rimaste, che chiedono che si faccia qualcosa con umanità, non contro l'umanità, per rilasciarli da questa prigione che ha un costo umano e morale altissimo.
Comprendo la paura di essere vittime innocenti delle repressioni e del terrorismo, vivere in una realtà che è al tempo stesso esclusiva ed escludente, in cui la schiavizzazione di altri diventa la tua stessa schiavitù, ma la gente non sa cosa vuol dire l'occupazione nella vita quotidiana e, come ha detto una studiosa statunitense qualche giorno fa, non è antisemitismo opporsi all'ingiustizia e all'occupazione.
Ho cercato di non dare giudizi, solo di descrivere ciò che sto vedendo e sentendo. È una pena continua, essere testimoni di queste scene e dei racconti, non sapere cosa dire anche se vorrei con tutto il cuore far sentire la vicinanza, la comprensione; e l'imbarazzo di non avere parole che reggano di fronte a tanta iniquità.
Ogni giorno, qui, mi si pianta qualcosa dentro come una spina. A volte succede qualcosa di bello, come dice un'anziana che abita accanto a noi: "quando ridiamo il Muro per un po' non esiste più", e la spina non la sento più tanto forte, ma sembra non esserci speranza...
Certi giorni vorrei essere così motivata da non sentire la fatica. Altri giorni vorrei non avere una coscienza e riuscire a mettere la testa sotto la sabbia del mio tran tran di europea fortunata, e non pensarci più...
 
Che il Dio dei viaggiatori ci accompagni tutti. Buona strada.
 
C. - volontaria dell'Operazione Colomba