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Salvo D'Acquisto
Salvo D'Acquisto nasce il 15 ottobre del 1920 a Napoli, nel quartiere del Vomero, in via S. Gennaro Antignano n. 2, da Salvatore D'Acquisto, nativo di Palermo, e Ines Marignetti, napoletana. Primo di cinque fratelli, Franca, Rosario, Erminia e Alessandro.

Frequenta l'asilo Maria Ausiliatrice e le elementari nella scuola "Vanvitelli"; mette poi a profitto due anni di Avviamento professionale presso la scuola "Della Porta" e due all'Istituto dei Salesiani. A Roma si prepara per la licenza liceale.
I professori lo definiscono riservato, prudente e di poche parole, i compagni lo ricordano altruista, sincero e difensore dei più deboli.

Nella primavera del 1939 riceve la cartolina militare per il richiamo di leva, qui prende la decisione di arruolarsi nell'Arma dei Carabinieri, in cui hanno militato, da parte di madre, il nonno (Mar. Biagio Marignetti) e uno zio e in cui, al momento dell'arruolamento, militano ancora due altri zii, uno materno e uno paterno.
L'arruolamento realizza il suo ideale del "dovere come missione" a difesa dei più deboli e dei più umili, il suo desiderio di operare per la giustizia, un sentimento che lo guiderà per tutta la vita.

Salvo viene assegnato alla Legione Allievi Carabinieri di Roma.
Il 15 gennaio 1940 diventa carabiniere.
Promosso carabiniere, è destinato alla Legione Territoriale di Roma, dove, per qualche mese, presta servizio a Roma Sallustiana, al Nucleo "Fabbriguerra".

Siamo nel mese di Giugno 1940, l'Italia entra in guerra e Salvo viene inviato come volontario in Africa, cosa che si realizza il 15 novembre 1940, quando si imbarca a Napoli per Palermo, destinazione finale: laTripolitania.
Dopo un mezzo naufragio della nave, Salvo sbarca a Tripoli il 23 novembre, con la 608a Sezione CC, addetta alla Divisione Aerea "Pegaso", che viene subito inviata in zona di operazioni.

Salvo è un ragazzo riflessivo, di poche parole. I colleghi gli vogliono bene per il suo carattere disponibile, cordiale, per la sua capacità di condividere gioie e dolori e per il suo spirito di solidarietà.
Salvo è un punto di riferimento non solo per i commilitoni, ma anche per i familiari.
Dal carteggio con i genitori si nota che egli condivide poco della facile retorica dell'epoca. Non solo non nutre odio verso i nemici, ma anzi auspica che, in futuro, «i rapporti internazionali possano essere dominati e guidati da spirito di collaborazione tra i popoli e dalla giustizia sociale».

Verso la fine del febbraio del 1941, Salvo viene ferito ad una gamba.
Resta in Africa sino al 7 settembre 1942 allorchè torna in Patria perchè ammesso al Corso Allievi Sottufficiali, presso la Scuola centrale di Firenze.

Superati brillantemente gli esami alla Scuola di Firenze, Salvo viene promosso vice brigadiere (15 dicembre 1942) ed assegnato alla Stazione di Torrimpietra, una cittadina distante una trentina di chilometri da Roma.
Qui vive gli ultimi nove mesi della sua vita (in paese è amato e stimato da tutti) e da qui gli giungono le notizie delle tragiche vicende che vive la Nazione, la caduta del regime, l'armistizio dell'8 settembre e poi lo sfacelo generale.

La sera del 22 settembre 1943, un soldato di un reparto di SS insediatosi in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, rimane ucciso per lo scoppio di una bomba,due rimangono feriti.
Le versioni finora riportate si differenziano, i tedeschi "gridano" all'attentato, più probabile invece l'ipotesi di un incidente, magari rovistando imprudentemente in una cassetta con all'interno delle bombe a mano lasciata dagli "ex inquilini" della caserma, i finanzieri.
La mattina seguente, comunque, la reazione dei tedeschi non si fa attendere, il comandante del reparto tedesco, recatosi a Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trova il vice brigadiere D'Acquisto, al quale ordina di individuare i responsabili dell'accaduto.
Salvo tenta inutilmente di convincerlo che si è trattato di un incidente, inutilmente.
Più tardi, Torrimpietra è circondata dai tedeschi e 22 cittadini vengono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso la Torre di Palidoro, per essere fucilati.
Salvo prova ancora una volta a convincere l'ufficiale tedesco della casualità dell'accaduto, ma senza esito. I tedeschi costringono gli ostaggi a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude.
Per salvare i cittadini innocenti, Salvo (ovviamente totalmente estraneo ai fatti) si autoaccusa come responsabile dell'attentato e chiede che gli ostaggi vengano liberati (un gesto che ancora oggi rimane uno dei massimi esempi di coraggio e nobiltà d'animo nella storia del nostro Paese).
Subito dopo il loro rilascio, il vice brigadiere Salvo D'Acquisto viene freddato da una scarica del plotone d'esecuzione.