non al denaro non all'amore né al cielo
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DORMONO SULLA COLLINA

Dove se n’è andato Elmer

che di febbre si lasciò morire

cov’è Herman bruciato in miniera.

Dove sono Bert e Tom,

il primo ucciso in una rissa

e l’altro che uscì già morto di galera.

E cosa ne sarà di Charley

che cadde mentre lavorava

e dal ponte volò e volò sulla strada.

Dormono, dormono sulla collina

Dormono, dormono sulla collina.

Dove sono Ella e Kate

morte entrambe per errore,

una d’aborto, l’altra d’amore.

E Maggie uccisa in un bordello

dalle carezze di un animale

e Edith consumata da uno strano male.

E Lizzie che inseguì la vita

lontano, e dall’Inghilterra

fu riportata in questo palmo di terra.

Dormono, dormono sulla collina

Dormono, dormono sulla collina.

Dove sono i generali

che si fregiarono nelle battaglie

con cimiteri di croci sul petto.

Dove i figli della guerra

partiti per un ideale

per una truffa, per un amore finito male.

Hanno rimandato a casa

le loro spoglie nelle bandiere

legate strette perché sembrassero intere.

Dormono, dormono sulla collina

Dormono, dormono sulla collina.

Dov’è Jones il suonatore

che fu sorpreso dai suoi novant’anni

e con la vita avrebbe ancora giocato.

Lui che offrì la faccia al vento,

la gola al vino e mai un pensiero

non al denaro, non all’amore né al cielo.

Lui sì sembra di sentirlo

cianciare ancora delle porcate

mangiate in strada nelle ore sbagliate.

Sembra di sentirlo ancora

dire al mercante di liquore

"tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?".

 

UN MATTO

(dietro ogni scemo c’è un villaggio)

Tu prova ad avere un mondo nel cuore

e non riesci ad esprimerlo con le parole,

e la luce del giorno si divide la piazza

tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,

e neppure la notte ti lascia da solo:

gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.

E sì, anche tu andresti a cercare

le parole sicure per farti ascoltare:

per stupire mezz’ora basta un libro di storia,

io cercai d’imparare la Treccani a memoria,

e dopo maiale, Majakowsky e malfatto,

continuarono gli altri fino a leggermi matto.

E senza sapere a chi dovessi la vita

in un manicomio io l’ho restituita:

qui sulla collina dormo malvolentieri

eppure c’è luce ormai nei miei pensieri,

qui nella penombra ora invento parole

ma rimpiango una luce, la luce del sole.

Le mie ossa regalano ancora alla vita:

le regalano ancora erba fiorita.

Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina

di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;

di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia

una morte pietosa lo strappò alla pazzia.

 

UN GIUDICE

Cosa vuol dire avere

un metro e mezzo di statura,

ve lo rivelan gli occhi

e le battute della gente,

o la curiosità

di una ragazza irriverente

che si avvicina solo

per un suo dubbio impertinente:

vuole scoprir se è vero

quanto si dice intorno ai nani,

che siano i più forniti

della virtù meno apparente,

fra tutte le virtù

la più indecente.

Passano gli anni, i mesi,

e se li conti anche i minuti,

è triste trovarsi adulti

senza essere cresciuti;

la maldicenza insiste,

batte la lingua sul tamburo

fino a dire che un nano

è una carogna di sicuro

perché ha il cuore toppo,

troppo vicino al buco del culo.

Fu nelle notti insonni

vegliate al lume del rancore

che preparai gli esami.

diventai procuratore

per imboccar la strada

che dalle panche d’una cattedrale

porta alla sacrestia

quindi alla cattedra d’un tribunale,

giudice finalmente,

arbitro in terra del bene e del male.

E allora la mia statura

non dispensò più buonumore

a chi alla sbarra in piedi

mi diceva Vostro Onore,

e di affidarli al boia

fu un piacere del tutto mio,

prima di genuflettermi

nell’ora dell’addio

non conoscendo affatto

la statura di Dio.

 

UN BLASFEMO

(dietro ogni blasfemo c’è un giardino incantato)

Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore,

più non arrossii nel rubare l’amore

dal momento che Inverno mi convinse che Dio

non sarebbe arrossito rubandomi il io.

Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino,

non avevano leggi per punire un blasfemo,

non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte,

mi cercarono l’anima a forza di botte.

Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo,

lo costrinse a viaggiare una vita da scemo,

nel giardino incantato lo costrinse a sognare,

a ignorare che al mondo c’è il bene e c’è il male.

Quando vide che l’uomo allungava le dita

a rubargli il mistero d’una mela proibita

per paura che ormai non avesse padroni

lo fermò con la morte, inventò le stagioni.

… mi cercarono l’anima a forza di botte…

E se furon due guardie a fermarmi la vita,

è proprio qui sulla terra la mela proibita,

e non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato,

ci costringe a sognare in un giardino incantato,

ci costringe a sognare in un giardino incantato.

 

UN MALATO DI CUORE

-Comincia a sognare anch’io insieme a loro

poi l’anima d’improvviso prese il volo.-

Da ragazzo spiare i ragazzi giocare

al ritmo balordo del tuo cuore malato

e ti viene la voglia di uscire e provare

che cosa ti manca per correre al prato,

e ti tieni la voglia, e rimani a pensare

come diavolo fanno a riprendere fiato.

Da uomo avvertire il tempo sprecato

a farti narrare la vita dagli occhi

e mai poter bere alla coppa d’un fiato

ma a piccoli sorsi interrotti,

e mai poter bere alla coppa d’un fiato

ma a piccoli sorsi interrotti.

Eppure un sorriso io l’ho regalato

e ancora ritorna in ogni sua estate

quando io la guidai o fui forse guidato

a contarle i capelli con le mani sudate.

Non credo che chiesi promesse al suo sguardo,

non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce,

quando il cuore stordì e ora no non ricordo,

da quale orizzonte sfumasse la luce.

E fra lo spettacolo dolce dell’erba

fra lunghe carezze finite sul volto,

quelle sue cosce color madreperla

rimasero forse un fiore non colto.

Ma che la baciai questo sì lo ricordo

col cuore ormai sulle labbra,

ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo,

e il mio cuore le restò sulle labbra.

E l’anima d’improvviso prese il volo

ma non mi sento di sognare con loro

no non mi riesce di sognare con loro.

 

UN MEDICO

Da bambino volevo guarire i ciliegi

quando rossi di frutti li credevo feriti

la salute per me li aveva lasciati

coi fiori di neve che avevan perduti.

Un sogno, fu un sogno ma non durò poco

per questo giurai che avrei fatto il dottore

e non per un Dio ma nemmeno per gioco:

perché i ciliegi tornassero in fiore,

perché i ciliegi tornassero in fiore.

E quando dottore lo fui finalmente

non volli tradire il bambino per l’uomo

e vennero in tanti e si chiamavano gente

ciliegi malati in ogni stagione.

E i colleghi d’accordo i colleghi contenti

nel leggermi in cuore tanta voglia d’amare

mi spedirono il meglio dei loro clienti

con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale:

ammalato di fame incapace a pagare.

E allora capii fui costretto a capire

che fare il dottore è soltanto un mestiere

che la scienza non puoi regalarla alla gente

se non vuoi ammalarti dell’identico male,

se non vuoi che il sistema ti pigli per fame.

E il sistema sicuro è pigliarti per fame

nei tuoi figli in tua moglie che ormai ti disprezza,

perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve,

l’etichetta diceva: elisir di giovinezza.

E un giudice, un giudice con la faccia da uomo

mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione

inutile al mondo ed alle mie dita

bollato per sempre truffatore imbroglione

dottor professor truffatore imbroglione.

 

UN CHIMICO

Solo la morte m’ha portato in collina

un corpo fra i tanti a dar fosforo all’aria

per bivacchi di fuochi che dicono fatui

che non lasciano cenere, non sciolgon la brina.

Da chimico un giorno avevo il potere

di sposar gli elementi e farli reagire,

ma gli uomini mai mi riuscì di capire

perché si combinassero attraverso l’amore.

Affidando ad un gioco la gioia e il dolore.

Guardate il sorriso guardate il colore

come giocan sul viso di chi cerca l’amore:

ma lo stesso sorriso lo stesso colore

dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore.

Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore.

Che strano andarsene senza soffrire,

senza un volto di donna da dover ricordare.

Ma è forse diverso il vostro morire

voi che uscite all’amore che cedete all’aprile.

Cosa c’è di diverso nel vostro morire.

Primavera non bussa lei entra sicura

come il fumo lei penetra in ogni fessura

ha le labbra di carne i capelli di grano

che paura, che voglia che ti prenda per mano.

Che paura, che voglia che ti porti lontano.

Ma guardate l’idrogeno tacere nel mare

guardate l’idrogeno al suo fianco dormire:

soltanto una legge che io riesco a capire

ha potuto sposarli senza farli scoppiare.

Soltanto una legge che io riesco a capire.

Fui chimico e, no, non mi volli sposare.

Non sapevo con chi e chi avrei generato:

son morto in un esperimento sbagliato

proprio come gli idioti che muoion d’amore.

E qualcuno dirà che c’è un modo migliore.

 

UN OTTICO

-I. PARTE

Daltonici presbiti, mendicanti di vista

il mercante di luce, il vostro oculista,

ora vuole soltanto clienti speciali

che non sanno che farne di occhi normali.

Non più ottico ma spacciatore di lenti

per improvvisare occhi contenti,

perché le pupille abituate a copiare

inventino i mondi sui quali guardare.

Seguite con me questi occhi sognare,

fuggire dall’orbita e non voler ritornare.

-II. PARTE

(1° cliente)

Vedo che salgo a rubare il sole

per non aver più notti,

perché non cada in reti di tramonti,

l’ho chiuso nei miei occhi,

e chi avrà freddo

lungo il mio sguardo si dovrà scaldare.

(2° cliente)

Vedo i fiumi dentro le mie vene,

cercano il loro mare,

rompono gli argini,

trovano cieli da fotografare.

Sangue che scorre senza fantasia

porta tumori di malinconia.

(3° cliente)

Vedo gendarmi pascolare

donne chine sulla rugiada,

rosse le lingue al polline dei fiori

ma dov’è l’ape regina?

Forse è volata ai nidi dell’aurora,

forse è volata, forse più non vola.

(4° cliente)

Vedo gli amici ancora sulla strada,

loro non hanno fretta,

rubano ancora al sonno l’allegria

all’alba un po’ di notte:

e poi la luce, luce che trasforma

il mondo in un giocattolo.

Faremo gli occhiali così!

Faremo gli occhiali così!

 

IL SUONATORE JONES

In un vortice di polvere

gli altri vedevan siccità,

a me ricordava

la gonna di Jenny

in un ballo di tanti anni fa.

Sentivo la mia terra

vibrare di suoni

era il mio cuor,

e allora perché coltivarla ancora,

come pensarla migliore.

Libertà l’ho vista dormire

nei campi coltivati

a cielo e denaro,

a cielo ed amore,

protetta da un filo spinato.

Libertà l’ho vista svegliarsi

ogni volta che ho suonato

per un fruscio di ragazze

a un ballo

per un compagno ubriaco.

E poi la gente lo sa,

e la gente lo sa che sai suonare,

suonare ti tocca

per tutta la vita

e ti piace lasciarti ascoltare.

Finì con i campi alle ortiche

finì con un flauto spezzato

e un ridere rauco

e ricordi tanti

e nemmeno un rimpianto.

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